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Capello: «Senza Calciopoli saremmo rimasti tutti alla Juve: Ibra, io, Emerson…»

A Sportweek: «È bello allenare i campioni, capiscono subito quello che devono fare. Ibra oggi è un giocatore-allenatore, non è l’atleta di prima ma porta esperienza»

Capello: «Senza Calciopoli saremmo rimasti tutti alla Juve: Ibra, io, Emerson…»
Db Torino 25/05/2021 - partita del cuore / Nazionale Cantanti-Campioni per la Ricerca / foto Daniele Buffa/Image Sport nella foto: Fabio Capello

Sul numero di Sportweek oggi in edicola c’è una lunga intervista a Fabio Capello. Ieri la Gazzetta dello Sport ne ha fornito alcune anticipazioni. Capello dice di aver insegnato a Ibrahimovic, alla Juventus, a tirare. Prima non sapeva farlo.

Nell’intervista integrale racconta chi era Ibra a 23 anni, quando sbarcò in Serie A.

«Era uno che doveva capire che giocare non significava divertirsi, vivere di abilità tecnica, “numeri” con la palla e basta, ma voleva dire essere concreti. E lui questo nella testa non ce l’aveva. Da un giocatore di talento ci si aspettano – meglio: bisogna pretendere – miglioramenti continui e significativi: nell’attenzione e nella voglia, innanzitutto. Il mio unico dubbio nei suoi riguardi era proprio legato al fatto che avesse un reale desiderio di migliorarsi. Un dubbio evidentemente non solo mio: l’Ajax lo cedette per 16 milioni e mezzo pagabili in quattro anni, segno che nel ragazzo non credeva poi tanto».

Capello ricorda quando l’agente di Ibra, Mino Raiola, andò a parlare con lui per proporglielo.

«“Ibra rompe le mani ai portieri”, mi disse. All’epoca la Juve si allenava al centro Sisport. Avevamo la palestra proprio alle spalle del campo. “Finora, l’unica cosa che ha rotto sono i vetri della palestra”, risposi».

Fu il tecnico a insegnargli il modo giusto.

«Siccome è un fuoriclasse, ha capito che quello che volevamo insegnargli gli sarebbe servito per diventare più forte e si è dedicato tutti i giorni a un certo tipo di esercizi. Tutti i giorni, anche quando non voleva. Provava a filarsela negli spogliatoi, io lo richiamavo – “IBRA!” – e lui trotterellava di nuovo in campo. La verità è che è più facile insegnare la tattica della tecnica e che è bello insegnare ai fuoriclasse: imparano subito. Gli mostri il movimento, il gesto e loro lo replicano immediatamente. Gli altri non ci riescono».

Racconta che gli diede da studiare i video dei gol di Van Basten.

«Gli feci preparare una videocassetta coi gol di Van Basten: “Tieni, e guarda come si fa gol”. Un giocatore di classe sublime come Zlatan poteva e doveva imparare da un giocatore di classe sublime come Van Basten».

A Capello domandano se, senza Calciopoli, Ibra sarebbe potuto restare alla Juve. Risponde:

«Senza lo scempio di Calciopoli saremmo rimasti tutti alla Juve: lui, io, Emerson…».

Chi è oggi Ibra?

«Ormai è un giocatore-allenatore. Uno di grande personalità che non può essere l’atleta di una volta, ma che porta esperienze positive alla squadra».

Zlatan saprà capire quando sarà il momento di ritirarsi?

«Il problema dei campioni è scivolare dalla prima alla sesta o settima pagina dei giornali, o scomparire del tutto. Ma oggi ci sono i social, tante finestre per restare affacciati sul mondo e conservare visibilità. Quel che manca davvero è l’odore del campo, il rumore del pubblico, il gusto della sfida. È questo che ti dà l’adrenalina di cui Ibra parla nel libro e che finisci per rimpiangere».

A Capello ancora succede:

«Ogni tanto, quando guardo le partite».

 

 

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