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Paola Perego: «Nascondevo i farmaci antipanico in camerino, ne sono uscita con più di dieci anni di analisi»

Al CorSera: «Molti dei miei ricordi sono offuscati, compreso il matrimonio con Carnevale. Nessuno doveva sapere che da un momento all’altro sarei potuta crollare» 

Paola Perego: «Nascondevo i farmaci antipanico in camerino, ne sono uscita con più di dieci anni di analisi»

Il Corriere della Sera ospita una lunga intervista a Paola Perego. Racconta che per anni ha combattuto con gli attacchi di panico, fin da quando era ragazzina.

«Per anni la gente ha visto una persona in apparenza vivace, ironica. Ma io ero in una bolla. Prendevo delle medicine e non parlo di quelle che si prescrivono oggi, che sono molto più leggere. Parlo di medicine che, pur di allontanare la sensazione di panico, appianavano tutto. Piallavano ogni cosa, comprese le emozioni. Per esempio, non riuscivo più nemmeno a piangere. Molti dei miei ricordi sono offuscati, come dentro una nuvola. Compreso il mio matrimonio con Andrea Carnevale. I critici dicevano che ero troppo fredda e distaccata, ma oggi posso dirlo: prendevo benzodiazepine».

Aveva 16 anni quando provò la terribile sensazione la prima volta. Racconta come ne è uscita.

«Con tre percorsi differenti di trattamenti di psicologia comportamentale. Oltre dieci anni di analisi. Ho imparato tanto. Prima di tutto che la fragilità non è una colpa né qualcosa da nascondere. E io ho sbagliato, perché l’ho nascosta per tanto tempo ai miei figli. Avrei dovuto mostrarmi per quella che sono, ma erano altri tempi: se andavi dal medico e gli elencavi i sintomi, quasi certamente lui diceva che avevi un esaurimento nervoso. E così nascondevo, camuffavo, sedavo. Nascondevo le medicine in camerino, nessuno doveva sapere che da un momento all’altro sarei potuta crollare».

Giovane, bella, ma penalizzata dagli attacchi di panico. Non è stato facile lavorare in tv. Soprattutto per le avance sessuali che le sono state fatte più volte.

«Una volta, a Mediaset, un dirigente si mise a rincorrermi intorno ad un tavolo. Un’altra volta, in scadenza di contratto, un altro mi propose di andare a cena. Dissi di no e quel contratto alla fine lo ottenni, sì, ma a furia di lunghe e umilianti anticamere».

Sulle persone che lavorano in tv:

«Dico una cosa che penso sul serio: tutti quelli che fanno televisione, secondo me, dovrebbero farsi psicanalizzare. Perché il meccanismo è questo: la gente a casa pensa che chi fa tv sia immune da dolore, pena, ansia, male. Ci si trova da soli contro milioni di persone che ti guardano. E che ti restituiscono l’immagine di un personaggio che ti appartiene ma che non sei tu. E allora ti chiedi: ma io chi sono? Capita a molti di avere la sensazione di non esistere se lontani dalla telecamera. Io, anche grazie al percorso fatto per combattere gli attacchi di panico, sono ormai fuori da questo meccanismo. Per fortuna. Adesso riesco a stare da sola, mentre in passato mi capitava di pagare le vacanze a persone nemmeno tanto amiche ma che volevo accanto solo perché l’idea di stare da sola mi terrorizzava. Adesso mi godo la mia casa, mio nipote, la mia famiglia. Lo dico: sto vivendo una seconda giovinezza».

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