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Moriero: «Col primo contratto ritirai le cambiali dei miei genitori, il giorno più bello della mia vita»

Intervista al Fatto: «Io comprai la Uno Turbo di seconda mano, mi sentivo un re. Oggi i calciatori non hanno fame e nelle scuole calcio parlano subito di tecnica funzionale, è osceno»

Moriero: «Col primo contratto ritirai le cambiali dei miei genitori, il giorno più bello della mia vita»

Sul Fatto una bellissima intervista a Francesco Moriero, ex di Lecce, Cagliari, Roma, Inter e Napoli, oggi ct delle Maldive.

Ricorda il suo passato. Dice di dovere tutto a Mazzone, con il quale diventò titolare.

«È stato ed è un uomo fondamentale nella mia vita, non solo in ambito sportivo; a quel tempo, nel nostro campionato, giocavano i fenomeni, mica come ora, quindi è riuscito a dosarmi, preservarmi, a rispettare la mia età fisica e psicologica. All’inizio mi tenne quaranta giorni in ritiro, io e lui da soli, perché doveva insegnarmi i giusti comportamenti, anche alimentari; aveva paura che un ragazzo di talento potesse perdere la testa».

Lui non ci pensava proprio a sgarrare, anche se era un po’ birichino, ma niente di che.

«Vengo dalla strada, quindi la fidanzata, qualche uscita, ma niente di più perché ero conscio di un punto: solo con il calcio avrei potuto sistemare la mia famiglia e gli amici».

Parla della sua famiglia:

«Papà portantino, guadagnava 600 mila lire al mese, mamma puliva le scale dei palazzi: tempo dopo ho scoperto che, per mandarmi in ritiro con la squadra e non farmi sentire diverso dagli altri, chiesero soldi in prestito per acquistare magliette, pantaloncini e jeans; a casa esisteva ancora la liturgia dell’abito buono per la domenica e le feste».

E i suoi lo hanno sempre incoraggiato.

«Attenti, rispettosi e sempre dietro le spalle per proteggermi. Ma con pudore; venivano agli allenamenti, senza farsi vedere, mentre io raggiungevo a piedi i campi da pallone: anche otto chilometri, pioggia o sole, con il borsone sulle spalle. Il biglietto per i mezzi pubblici costava cinquanta lire e ogni volta che li chiedevo a mio padre, rispondeva: “Mi dispiace ne ho solo diecimila sane”; anni dopo mi ha confessato che era una scusa, serviva a verificare se le mie intenzioni fossero serie. Dovevo prendermi le mie responsabilità».

Li ha ripagati appena ha potuto.

«Quando ho firmato il primo contratto da due milioni di lire al mese, sono andato a ritirare le loro cambiali e le ho coperte. Ancora oggi resta uno dei giorni più belli della mia vita».

E si tolse anche uno sfizio per sé.

«La Uno Turbo di seconda mano acquistata da un ex compagno del Lecce: pagata cinque milioni. Lì sopra mi sentivo un re, io che da ragazzino non avevo neanche una bicicletta».

Ricorda il suo rapporto, pessimo con le sconfitte.

«Ci mettevo troppo ad assorbirle. Non le sopporto, mi chiudevo in casa un intero giorno e non parlavo con nessuno. Per molti aspetti questo approccio mi ha impedito una carriera più importante».

Oggi è tutto diverso, manca la fame, l’umiltà.

«Quando hai fame sai da dove vieni e sai perché vuoi saziarti: è quello che manca oggi. Arrivano troppo presto; per questo il calcio è mediocre: un tempo il giocatore era pensante, non ossessionato dalla tattica».

Come mai il mondo del calcio è così chiuso?

«Non lo so, però mi dispiace, perché certe storie, come quella di Bruno Conti, si tramandavano ai bambini, li aiutavano a innamorarsi del pallone; ultimamente i piccoli sono meno appassionati e nelle scuole calcio vedo situazioni oscene. Gli allenatori parlano da subito di tecnica funzionale. Siamo matti? Fino a una certa età i bambini e i ragazzini si devono solo divertire e sognare».

Lei chi è?

«Francesco Moriero, un ragazzo venuto dal Sud con una bellissima famiglia; uno che deve tutto al calcio, non solo sul piano economico: ho imparato a vivere, la disciplina, a parlare, a ragionare».

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