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La monetina a Reina, per il calcio italiano il fatto non sussiste. Mai

Il portiere resta ammonito, il club se la cava con 25mila euro di multa. Nessuno si indigna. È un perfetto esempio di ingiustizia sportiva all’italiana

La monetina a Reina, per il calcio italiano il fatto non sussiste. Mai
Bergamo 30/10/2021 - campionato di calcio serie A / Atalanta-Lazio / foto Image Sport nella foto: Jose' Manuel Reina

Non è successo niente. Non hanno lanciato una monetina in testa a Pepe Reina. Lui, il portiere della Lazio, non è stato ammonito per aver perso tempo a rassettare la sua area di rigore bersagliata di oggettistica contundente varia. Il Giudice Sportivo non ha ratificato l’ammonizione, e non ha, successivamente “punito” l’Atalanta con un’ammenda da 25.000 euro. Non è mai accaduto.

Non essendo Reina il buon Alemao che su quello stesso prato – ma con diversa valuta corrente – restò inerte fino a procurarsi una vittoria-scudetto a tavolino, tantomeno Payet, che a Nizza s’è preso una bottigliata e per reazione ha scatenato una rissa con la curva, non si ravvisa nell’opinione pubblica italiana il bisogno di indignarsi per la gestione del caso. Perché, appunto, si fa in modo che il caso non sussista affatto. Lo si disinnesca in burocratese, tacendone la vergogna. E’ il sistema Italia. Costruito sul concetto stesso di negazione: della realtà, della giustizia, persino della cronaca spicciola (visto che di monete si parla).

Per cui Reina resta archiviato come “colpevole”, almeno in concorso di colpa. Ed è il primo messaggio dirompente di questa vicenda da bottegai: la vittima non è mai solo vittima, è poco uomo se soffre, un impostore se crolla in campo, ma altrettanto è “poco furbo” se come il portiere della Lazio continua a giocare non simulando morte prematura. Dovrebbe esserci un cordone di sicurezza, anche a posteriori, che garantisca se non l’incolumità almeno il riconoscimento delle responsabilità. Macché. La catena arbitro-giudice sportivo-stampa italiana funziona come quelle che un tempo servivano a scaricare i cessi: uno strattone e giù via tutto. Non è successo niente, appunto.

Se non fosse che proprio nella “sentenza” del Giudice Sportivo, per contrapposizione, c’è evidenziata tutta la follia del sistema. Se i frombolieri ultras costano all’Atalanta 25.000 euro di multa, “l’atteggiamento ironico” e “le parole irrispettose nei confronti dell’arbitro” di Mourinho valgono, al cambio a-morale, 10.000 euro; un po’ meno della metà. Facciamo fatica – fessi che siamo – a misurare i due fatti con lo stesso ordine di grandezza.

Altrettanto, lo stesso Giudice ha inteso punire la Roma con la chiusura della Curva Sud dell’Olimpico, per i cori e i versi razzisti a Ibrahimovic e Kessié. L’ha fatto, ovviamente, all’italiana: sospendendo la pena per un anno. Il ditino puntato. “Ah, non si fa. La prossima volta ti sculaccio”. La curva dell’Atalanta, abitata (anche) da gente che nell’ultima settimana ha aggredito i tifosi del Manchester in un pub, no. Resti aperta. Perché l’Atalanta ha contribuito ad individuare i colpevoli del lancio, puniti poi con un daspo. Il sotteso, qui, è il dolo della “sparuta minoranza”, dei “pochi cretini”. Chi siamo noi per criminalizzare, o – peggio – per “generalizzare”. Non sia mai.

Ma il silenzio successivo, peraltro in un Paese che campa indignandosi per ogni minuzia 24h, è la rappresentazione plastica del calcio italiano. Di come nei suoi gangli resti impigliata la logica, abusando ogni volta del senso del ridicolo. Dal lancio della monetina al verdetto finale del Giudice sportivo, c’è una linea tirata che tratteggia il suo governo. Non c’è un passaggio che non sia sbagliato, nemmeno per errore. Tutto perfettamente inadeguato, dall’inizio alla fine.

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