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Pif: «Per anni mi sono vantato di fare l’assistente a Zeffirelli, ma mi occupavo solo del suo cane»

Al Fatto: «I suoi tecnici mi guardavano male perché arrivavo tardi sul set ma io aspettavo il maestro e il suo cane. Sono un anaffettivo, è il dramma della mia vita»

Pif: «Per anni mi sono vantato di fare l’assistente a Zeffirelli, ma mi occupavo solo del suo cane»

Sul Fatto Quotidiano una lunga intervista a Pierfrancesco Diliberto, meglio conosciuto come Pif. Attore, sceneggiatore e regista, ha lavorato in tv con “Le Iene”, ha diretto “La mafia uccide solo d’estate” e “In guerra per amore”. L’ultimo suo film è “E noi stronzi rimanemmo a guardare”. Si definisce un anaffettivo.

«Ho sentimenti ma non riesco a esternarli ed è un po’il dramma della mia vita; da ragazzino mi chiedevano: “Ma hai capito?”. Non so neanche ricevere i complimenti, mi imbarazzano. Quando mi arrivano sul cellulare, ogni volta rispondo: “Grazie!”, con tanto di punto esclamativo. Per me è una grandissima manifestazione, invece molti si offendono e pensano che me la sto tirando».

Racconta i suoi inizi nel cinema, come aiuto regista.

«Di Franco Zeffirelli in Un tè con Mussolini e di Marco Tullio Giordana ne I cento passi; con Zeffirelli era una produzione così grande da risultare io inesistente, infatti non sono neanche nei titoli di coda. Per anni mi sono vantato di essere stato l’assistente di Zeffirelli, in realtà lui aveva un cane e me ne occupavo: non per colpa del maestro, ma perché ero l’ultimo arrivato in un cast pazzesco; ne I cento passi è andata meglio. In quella fase della vita, in ogni posto dove andavo, ero sempre l’anello debole e non capivo perché si scatenassero contro di me; forse per la solita storia di non saper esternare i sentimenti, ma alla fine subivo. Un Malaussène. I tecnici di Zeffirelli mi guardavano male perché arrivavo sul set alle 9 e non alle 7 come gli altri: il problema è che aspettavo il maestro e il suo cane».

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