ilNapolista

«Non mi vaccino, sono fatti miei». Come non detto: Irving non è un rivoluzionario, è solo un no vax

Avevamo capito male: “La mia non è una scelta politica, penso solo a cosa è meglio per me. Non ho intenzione di smettere o di perderci soldi”

«Non mi vaccino, sono fatti miei». Come non detto: Irving non è un rivoluzionario, è solo un no vax

Come non detto. Kyrie Irving non è un “rivoluzionario” delle cause sbagliate, capace di rinunciare a 200 milioni e ad un pezzo considerevole di carriera per “dare voce a chi non ha voce”. La star dei Nets al centro di un caso unico nel panorama mondiale è semplicemente un no-vax e no-pass. O, almeno, lui ha deciso che non vuole vaccinarsi e quindi accetta di restare fuori squadra, di non poter giocare in Nba, di non essere pagato per partite casalinghe che avrebbe dovuto saltare e di non vedersi rinnovato un contratto quadriennale da quasi 190 milioni. E chi ci leggeva – anche noi – una visione politica, per quanto distorta, beh ha capito male.

Lui ha scelto Instagram Live per rispondere alle critiche e alle illazioni, per evitare i “filtri” della stampa. E ha chiarito:

La mia scelta non è una questione politica, non riguarda l’Nba o qualsiasi squadra. Riguarda solo la mia vita, e quello che decido di fare. Non ho intenzione di ritirarmi o di lasciare l’Nba”.

“Nessuno può dirottare la mia voce. Non credete che voglia smettere per un obbligo vaccinale. Non credete a quello che si dice di me se non viene da me. Nel mondo reale vedo gente che perde il lavoro per colpa di questi obblighi, che deve fare scelte difficili che rispetto. Cosa fareste voi se non vi sentiste a vostro agio a giocare, perché vi era stato promesso che avreste avuto esenzioni, che nessuno vi avrebbe obbligato a farvi vaccinare? Le mie idee non erano un problema quando è cominciata la stagione. Non è qualcosa per cui mi sono preparato. Ho cominciato la stagione pensando che avrei potuto giocare a basket, che avrei potuto usare il mio talento per continuare ad influenzare le persone nel modo giusto. La gente parla di me con convinzione assoluta, certa di quello che dovrei fare, di come i miei compagni dovrebbero sentirsi a mio riguardo, di quello che dovrebbe fare la mia squadra. Io invece voglio continuare a rimanere in forma, ad essere pronto a giocare, a fare parte di questo mondo. La realtà però è che per giocare a New York, per far parte della mia squadra, devo essere vaccinato. Io ho scelto di non esserlo, e chiedo che tutti rispettino la mia scelta”.
In pratica si conferma simbolo, suo malgrado, dei movimenti anti-vaccino e di chi è contrario alle restrizioni per i non-vaccinati. Poteva giocarsela meglio, vibrando il colpo della lotta sociale. E invece fa un po’ la vittima del sistema. Ovviamente nel suo sfogo “senza filtri” (che poi significa anche senza il fastidio di dover rispondere a delle domande) non fa riferimento alla pericolosità del suo messaggio, tantomeno all’idea che il vaccino non è solo una scelta personale ma riguarda anche la salute altrui, soprattutto quella dei più fragili.

“Pensate davvero che voglia perdere soldi? O che voglia rinunciare al mio lavoro, al mio sogno di vincere un titolo? Pensate davvero che voglia rinunciare a quello che stavamo costruendo con i miei compagni, che voglia rinunciare alla mia vita per colpa di un obbligo, di un vaccino? Andiamo… Però questa è la mia vita, e io posso farci quello che voglio. E invece vengo trascinato in qualcosa di ben più grande del basket, anche se io sono semplicemente un giocatore”.

“Nonostante tutto, ho deciso di rimanere fedele a quello in cui credo. È tutto qui, in realtà. Non si tratta di essere no vax o di credere in qualcosa o in qualcos’altro. Si tratta di essere coerente, continuare a credere di fare la cosa migliore per me stesso. Se devo essere demonizzato perché ho più domande degli altri, o se ci metto più tempo di altri a prendere una decisione, allora lo accetto. E accetto le conseguenze delle decisioni che prendo nella mia vita”.

ilnapolista © riproduzione riservata