A Il Giornale: «Vengo ancora percepito come un giovane attore italiano che ha avuto successo con una serie tv, mentre all’estero sono considerato una giovane star»
A novembre sarà in tv la quinta ed ultima stagione della serie tv Gomorra. Il Giornale intervista Salvatore Esposito, che interpreta il ruolo di Genny Savastano.
«Gomorra non è Napoli. In realtà è una storia che parla delle periferie del mondo. Quelle di cui si parla solo durante le campagne elettorali. Poi nessuno fa mai nulla, ed è quello che raccontiamo. Se si guarda in giro, tutte le periferie del mondo sono abbandonate a loro stesse: sono abbandonate dalle istituzioni, da tutti quelli che vanno a chiedere voti senza restituire poi nulla. E sono in mano alle delinquenze, il nome non cambia la sostanza. Noi le chiamiamo camorra, mafia, n’drangheta, da altre parti hanno altri nomi. Ma alla fine sono tutte uguali».
Gomorra racconta il fascino del male?
«Non è quello. E comunque non sarebbe una novità: succedeva nella tragedia greca, succedeva con Shakespeare. Io penso che sia meglio dire che si tratta di un immedesimarsi in un racconto. Che poi lo faccia un criminale o un santo, poco importa: ti porta a conoscere qualcosa che magari non avevi considerato. E ti aiuta a pensare».
Esposito racconta che aver interpretato Gomorra spesso lo penalizza.
«Vengo ancora percepito come un giovane attore italiano che ha avuto successo con una serie Tv, mentre in altri Paesi sono già considerato una giovane star internazionale. E questo mi dà accesso a percorsi diversi. Per dire: ho partecipato a progetti come Fargo, mentre qui sembra sempre che debba dimostrare ancora qualcosa. Come se non fosse mai abbastanza. Io so bene che non è abbastanza, che c’è sempre da imparare. Però…».