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Quanto era distorta la narrazione su Spalletti

Il sistema mediatico-giornalistico è pronto a fare autocritica? Un grande allenatore dipinto quasi come una macchietta. Urge riflessione

Quanto era distorta la narrazione su Spalletti

Il Napoli è come il Piave. Non mormora, ma gioca calmo e placido. E vince. Ancora. Vince è poco. Domina, schianta, tritura. Quinta vittoria di fila in campionato. Passa anche sul campo della Sampdoria. Due a zero alla fine del primo tempo. E poi dilaga nella ripresa. E Osimhen sullo 0-0 sbaglia un gol solo davanti ad Audero. Fabian realizza un gol di fino. I fan di Insigne possono ricordare che entrambi gli assist dei primi due gol sono suoi. Così come altri due sono di Lozano.

Facendo i debiti scongiuri, il Napoli potrebbe vincere il primo campionato clandestino di Serie A. Un torneo di fatto proibito alla visione. Solo chi se lo merita, riesce a sintonizzarsi su Dazn. E in tanti oggi, soprattutto a inizio partita, non se lo sono meritato.

Ma il tema è un altro. Il tema è Spalletti. Ci vorrebbe un’autocritica del sistema mediatico-giornalistico. Autocritica che temiamo non arriverà mai. Ovviamente pure lui ha commesso i suoi errori, e con i suoi comportamenti ha lasciato che gli fosse cucito addosso il vestito dell’allenatore sì bravo ma con accessi di ira poi difficilmente gestibili. Diciamo anche del personaggio desideroso di polemiche ad ogni costo. È innegabile che questi aspetti abbiano finito per prendere il sopravvento sul primo.

Ora non stiamo qui a paragonare Spalletti con il precedente allenatore del Napoli, non ci piace vincere facile. Sarebbero servite  meno di cinque vittorie di fila per vincere il paragone.

Bisogna però dare a Spalletti quel che è di Spalletti. Il campionato è lungo, il Napoli non ha vinto niente. Ma stare a punteggio pieno dopo cinque giornate, dominare in questo modo, all’indomani di 18 mesi di buio, è un risultato che cambia i percorsi professionali.

E qui torniamo all’autocritica. La domanda, rivolta al giornalismo, è: perché ci interessa di più la scenata che può fare audience e/o clic rispetto all’analisi/racconto di un valido professionista? Spalletti è stato dipinto come quello di Totti (e ne abbiamo scritto), ricordato come una macchietta, la testa sbattuta sul tavolo in conferenza stampa, i post-partita litigiosi con Caressa, i video in cui parla con gli animali della fattoria. Come se non interessasse altro.

Chissà se qualcosa sia cambiato in lui. Ha subito eventi luttuosi. Ha frapposto una distanza tra sé e il mondo del calcio. Due anni di assenza. Ha avuto modo e tempo di riflettere. Forse ha capito che era il caso di far parlare solamente il campo, di non distrarre con altro. Per far emergere la propria profonda competenza, per non offuscarla con altro.

Questo ci ricorda che la comunicazione, più che importante, è quasi tutto. La narrazione fa il monaco, altro che. Parafrasando Boniperti, la narrazione non è importante: è l’unica cosa che conta.

Spalletti è finito per diventare vittima di un personaggio che lo ha fagocitato. E una volta che lasci che ti incasellino, ci vuole una forza sovrumana per liberarti di quella armatura. Cinque vittorie consecutive sono un ottimo salvacondotto, uno straordinario salvacondotto. Anche se una minima riserva rimane ancora. L’Italia aveva scamazzato un signor allenatore. E lo aveva sacrificato in nome dell’audience.

Non era colpa di Spalletti se lo dipingevano così? Al momento sembra proprio di sì. E forse non è un caso che proprio in questi giorni negli States hanno deciso di modificare il fisico di Jessica Rabbit, di renderla meno dipendente dai desideri degli uomini.

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