Ha visto la docu-fiction su Raiuno. Si è sentito tradito come lui. Abbandonato come lui e ora prova la scalata in solitario. Come lui. È la forza e il limite dell’unica candidatura realmente interessante a Napoli
Antonio Bassolino è per distacco il candidato e la candidatura più intrigante e affascinante a sindaco di Napoli. Non che la concorrenza sia agguerrita, va detto. È probabilmente l’unico che ha una storia da raccontare. Storia che, come spesso avviene, ciascuno può piegare come preferisce. Nel bene e nel male. Lui un canovaccio ce l’ha chiaro in testa – un filo pretenzioso, va detto – e lo ha esposto lunedì sera alla Fondazione Foqus nel corso della presentazione del suo libro “Terra nostra”.
Già nel preambolo c’è tutto. Bassolino si è presentato con una camicia a maniche corte (dove le trovi, non si sa) che gli regala quel tocco vintage che contraddistingue la sua avventura. Parla di una fiction, una docu-fiction a voler essere precisi, andata in onda domenica sera su Raiuno. E anche qui stiamo ai classici: Raiuno.
La storia di Walter Bonatti grandissimo alpinista, personaggio immenso, il suo amore con l’attrice Rossana Podestà che in un’intervista, senza conoscerlo, disse che sarebbe scappata su un’isola deserta con lui. E soprattutto la vicenda che ha segnato la vita di Bonatti: la leggendaria spedizione del 1954 sul K2, che si concluse trionfalmente ma che – soprattutto – ebbe una coda di veleni che durò cinquantatré anni. Venne ingiustamente accusato di aver tradito i colleghi, di non aver fornito loro l’ossigeno, mentre avvenne l’esatto contrario: i due “eroi” che raggiunsero la cima, lasciarono il campo prima che lui arrivasse e rischiò seriamente di morire assiderato a settemila metri. Si salvò solo perché era Walter Bonatti.
Racconta che durante la visione, sua moglie, Anna Maria Carloni, gli dice: “Hai visto, lui ha aspettato cinquant’anni, tu solo diciannove”. E aggiunge: «Io non ho risposto».
Piaccia o meno, Bassolino è convinto di aver subito lo stesso torto di Bonatti. Si sente Bonatti, considerata anche la recente passione per l’alpinismo. Bassolino è convinto di essere stato lasciato solo in quel campo base dove invece del ghiaccio ci furono distese di rifiuti. È convinto di essere stato tradito. L’ha vissuta e la vive così, è evidente. Si infervora quando ricorda la scalata in solitario che Bonatti fece sul Cervino. È il paragone che ha in testa. Paragona questa campagna elettorale a quella del 93, contro la Musssolini. «Ero solo anche allora». Come ne “I vesuviani” di Martone con Toni Servillo che interpretò quel sindaco che saliva sul Vesuvio. Ovviamente in solitario.
A nostro avviso questa è, come spesso accade, la forza, il fascino ma anche il limite del ritorno politico di Bassolino. Che, messa così, sembra tradursi essenzialmente in una questione personale. Bassolino accenna alle diciannove assoluzioni, si capisce che il nodo è tutto lì. Le diciannove imputazioni sono per lui come le infamanti accuse che accompagnarono Bonatti.
Qui a nostro avviso Bassolino dimentica che una cosa è l’assoluzione giudiziaria e un’altra quella politica. Così facendo, così ragionando, la delega alle aule di giustizia sarebbe totale. La storia non la decidono le aule di tribunale. Ma non è solo questo il punto. Bassolino dovrebbe allargare lo spettro. Dovrebbe far entrare altri nel film, essere meno morettiano. “Dai Nanni, spostati e lasciaci vedere il film” disse Dino Risi in una folgorante battuta.
Non accadrà, ovviamente. Non può accadere. Perché il film è Bassolino. Bassolino e la visione della città di Bassolino sono una cosa sola. Incredibilmente trascurato dalla narrazione mediatica della città, è l’unico vero protagonista di questa campagna elettorale naturalmente decadente. Con un simbolo antimafia che si abbraccia con Hugo Maradona, un ex rettore ed ex ministro che rifugge i confronti e ha una coalizione in cui c’è di tutto: dagli ex forzisti con una lista propria, al Pd, ai fondamentalisti del reddito di cittadinanza che lo vorrebbero anche comunale. E Alessandra Clemente testimone dell’eredità de Magistris.
Bassolino spicca, c’è poco da fare. Con il suo look semplice, la sua immutata passione, i suoi racconti sull’infinito dibattito che si aprì nel Pci all’indomani della lieve flessioni alle elezioni di Castellammare di Stabia. Rinunciò a un viaggio di formazione del Pci in Australia per riferirne al Congresso. Ha un’altra caratteristica vintage: parla di politica, usa il linguaggio della politica, i tempi della politica. Il rischio è che Bassolino finisca per parlare soprattutto alla sua gente (che infatti a Foqus c’era), al segmento vintage della città. La buttiamo là. Dovrebbe guardare anche gli ultimi film di Clint Eastwood (anche lui, se non ricordiamo male, porta le camicie a maniche corte), tanto anche Bassolino può definirsi post-ideologico. Detto questo, è l’unico motivo per seguire questa campagna elettorale.