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«Raffaella scoprì i centri commerciali a Manila, ma accompagnava papà all’Ikea per accontentarlo»

Barbara Boncompagni racconta la Carrà: «Ci legava l’abbandono. Per me da parte di mia madre, per lei da parte del padre. Ci consideravamo sopravvissute» 

«Raffaella scoprì i centri commerciali a Manila, ma accompagnava papà all’Ikea per accontentarlo»

Barbara Boncompagni, la figlia minore di Gianni, racconta ai quotidiani il suo legame con Raffaella Carrà, entrata nella sua vita e in quella delle sorelle Paola e Claudia quando erano piccole. A Repubblica la racconta come «una donna speciale». Una presenza affettuosa e complice. Sensibile, dice che sapeva leggere dentro le persone.

«Noi due avevamo questa teoria: che ci legava l’abbandono. Per quel che riguarda me, da parte di mia madre, per lei da parte del padre. Ci consideravamo sopravvissute e questo ci ha legato tantissimo. Mi ha portato in tournée, alle prove di Milleluci. Aprivo la porta e c’erano i suoi vestiti con le paillettes, la musica, c’era energia. Mamma era svedese: sindacalista, femminista, un altro mondo».

Racconta gli incontri con Mina per giocare a scopone.

«Ai tempi di Milleluci veniva Mina a giocare a scopone, noi bambine sbirciavamo da dietro la porta. Momenti indimenticabili».

Non è stata propriamente una mamma per lei, ma tra loro ci fu tanta empatia.

«Era assorbita dalla sua carriera, sempre in giro. Però, negli anni, si era creato un legame filiale. Avevamo venti anni di differenza e ci confrontavamo su tutto, era un rapporto vero. Ci citofonavamo. Mi capiva, era empatica».

Racconta la convivenza con la Carrà.

«Era una convivenza sui generis. Noi tre abitavamo con la governante e sullo stesso pianerottolo c’erano papà e Raffaella. Ci vedevamo durante il giorno, porte aperte. Poi loro avevano cene di lavoro, era movimentato. Per me era normale. Mio padre era presentissimo, certo non era il padre classico che ti accompagnava a scuola. Con Raffaella sognavo. Passavo dal rigore di mamma, impegnata nella sezione del Pci, alle paillettes e al Tuca tuca, cose meravigliose quando hai 12 anni».

La Boncompagni parla anche al Corriere della Sera.

«Ha sacrificato la possibilità di diventare madre. Non ha avuto figli perché, quando era molto giovane, diceva che un figlio non si può mettere in valigia e portarlo con te in giro per le piazze, non ha senso… Quando poi, intorno ai 40 anni, si sentiva più pronta alla maternità, la natura le disse: no, carina, non decidi tu, decido io… E Raffaella ha accettato questa condizione, non si è imbarcata in un accanimento terapeutico».

Nella vita quotidiana non era propriamente una casalinga, racconta.

«Mi meravigliò una volta quando, tornata dalle Filippine, mi raccontò con sorpresa che a Manila aveva visto dei centri commerciali grandissimi, con tanti negozi. Io, scherzando, le risposi: Raffa, i centri commerciali ci sono anche in Italia! E lei: ah sì? ma io non ci vado! Però, poi, siccome papà adorava frequentare Ikea, lo accontentava e tutte le volte che lui decideva di andare, lo seguiva. Addirittura, per un compleanno di mio padre, andarono insieme a Decathlon e gli fece il regalo di fargli comprare tutto quello che desiderava».

 

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