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Oscar Nicolaus: Edgar Morin mi ha cambiato la vita

I cento anni del grande intellettuale. La scoperta di non essere soli nel denunciare “il cretinismo del mestiere”. Il suo precorrere i tempi, anche col virus

Oscar Nicolaus: Edgar Morin mi ha cambiato la vita

Per i cento anni di Edgar Morin (compiuti l’8 luglio), Mimesi Edizioni ha pubblicato il volume “CENTO EDGAR MORIN” – 100 firme italiane per i  100 anni dell’umanista planetario.

Un omaggio a un uomo straordinario e a un intellettuale di fama mondiale, che con il nostro paese ha da sempre un legame del tutto speciale. Cento firme italiane, espressioni di una molteplicità di campi del sapere, sono qui riunite per celebrare i 100 anni di Edgar Morin. Brevi ritratti di un grande umanista, che della sua opera e della sua persona restituiscono nel loro insieme un affresco inedito. 

Il Napolista, per gentile concessione dell’autore e dell’editore, pubblica il contributo di Oscar Nicolaus

Incontri che cambiano la via

A volte durante la vita ci viene offerta la possibilità di dare un nuovo inizio alla nostra storia.

L’opportunità più significativa, da un punto di vista intellettuale, ma non solo, che mi sia capitata negli ultimi quarant’anni mi è stata offerta da un incontro: quello con Edgar Morin.

In chi scrive, la lettura del primo volume de La Méthode (1977) agli inizi degli anni Ottanta aveva prodotto un effetto fulminante.

Soprattutto la lettura dell’introduzione al libro, Lo spirito della valle, mi aveva reso euforico, come di fronte a una scoperta paragonabile, il lettore mi perdoni l’enfasi, a quell’esperienza del tutto particolare che gli psicoanalisti chiamano insight o i buddisti illuminazione.

Finalmente l’insofferenza a quella condizione di frantumazione dei saperi che faceva sentire stranieri me e tanti di noi nei circuiti ufficiali, trovava parole alte, significative, appassionate. Non ci sentimmo più soli a denunciare l’iperspecialismo crescente delle discipline come una forma moderna di “cretinismo del mestiere”.

Il meccanismo di occultamento con cui l’Accademia liquidava le nostre inquietudini, bollate come speculazioni astratte, veniva svelato in una forma matura.

Un amore, dunque, a prima lettura. Ma anche, a prima vista, quando con Edgar, nella sua piccola casa di Rue des Arquebusiers a Parigi, iniziammo a progettare iniziative di ogni tipo che mi permisero di entrare in una nuova comunità di destino che ancora oggi mi è di sostegno prezioso.

Un amore ricambiato, se lo stesso Morin nel suo libro Mes Démons (1994, p. 233) scrive: “Ma vie personnelle avait recommencé en 1980. A Caldine, m’avait rejoint celle dont le visage m’avait fasciné en 1961 à Santiago du Chili… Puis une nouvelle patrie d’amitié s’est constituée avec, au noyau, Mauro Ceruti, Gianluca Bocchi, Sergio Manghi, Oscar Nicolaus…”.

Nel corso della cerimonia per il conferimento della laurea honoris causa a Bergamo nel 2002, Mauro Ceruti sintetizza magistralmente il suo camino lungo cent’anni: “A partire dagli anni Trenta del secolo scorso fino ai nostri giorni, Edgar Morin non ha mai cessato di esercitare un limpido e sofferto senso critico, prodotto da una feconda   cooperazione fra ragione ed emozione, fra lucidità e passione. Nei momenti in cui è sembrato agevole celebrare le magnifiche sorti del genere umano, Edgar Morin ha condotto i suoi lettori a toccare con mano i lati oscuri del progresso, mostrando le barbarie, gli asservimenti e le follie che oggi più che mai ci impediscono di vivere in un mondo compiutamente civile.

Di contro, nei passaggi storici più duri e difficili, egli ha saputo infondere nuove speranze nelle menti e nei cuori, affermando che il peggio non era inevitabile, che i giochi non erano fatti, che dal groviglio di tendenze e di controtendenze conflittuali dell’oggi è sempre possibile, e anzi necessario, elaborare prospettive creative per lindomani”.

In Terre-Patrie (1993), Morin, con Brigitte Kern, dà una forma matura alla sua incessante ricerca per un’antropologia multidimensionale.

Quale la nuova carta d’identità terrestre? Quali le nostre finalità terrestri nell’era planetaria, nell’epoca delle sue molteplici crisi? Quale antropolitica dovremmo promuovere per abitare la Terra?

Domande a cui accenna a una risposta in un articolo pubblicato insieme a Mauro Ceruti: “dobbiamo comprendere che, se vogliamo che l’umanità possa sopravvivere, essa deve compiere una metamorfosi. Oggi il problema primario della vita è diventato la priorità di una nuova coscienza, che richiede una metamorfosi. Certo, l’accumulazione di pericoli rende l’esito improbabile. Ma tutte le vie nuove che la storia umana ha conosciuto sono state inattese, figlie di devianze che hanno potuto radicarsi e diventare tendenze e forze storiche. L’umanesimo divenuto planetario richiede che solidarietà e responsabilità, senza cessare di esercitarsi nelle comunità esistenti, siano estese alla comunità di destino planetaria. La presa di coscienza della comunità di destino terrestre deve essere l’evento chiave del nostro secolo. Siamo solidali in questo pianeta e con questo pianeta. Siamo esseri antropo-bio-fisici, figli di questo pianeta, che è la nostra Terra-Patria” (Il Sole 24 Ore, 13 ottobre 2019).

Parole scritte alla vigilia della pandemia che sconvolgerà le nostre vite!

Oggi, dentro una delle più drammatiche e globali crisi sanitarie del XXI secolo, dentro la triplice crisi in atto, da un punto di vista biologico, economico, di civiltà, insieme alla crisi di un pensiero politico che ha grandi difficoltà a declinare insieme il bios e la polis, sarebbe indispensabile ripensare un umanesimo su scala planetaria che attingesse alle sorgenti dell’Etica, della Solidarietà e della Responsabilità.

Ma non è detto che ciò accada e l’appello del grande intellettuale francese si fa vibrante:“Eros e Thanatos sono da sempre nemici inconciliabili ma inseparabili,  a turno l’uno ha preso il sopravvento sull’altro, ma oggi i più forti sono Polemos e Thanatos… Seppure sarebbe auspicabile che, di fronte a una crisi di tale portata, si sviluppasse  una coscienza planetaria  del fatto che abbiamo un destino comune, del  fatto che ci sia una comunità dei destini umani, accade, invece, che per paura, ci si rinchiuda in identità nazionali, etniche, una chiusura  mortale una forma regressiva che è però bene non nascondere né sottovalutare. Abbiamo bisogno di non esorcizzare i rischi e i pericoli ma siamo chiamati piuttosto a formare isolotti di resistenza, oasi di pensiero libero, di fraternità, di solidarietà per un nuovo umanesimo e pensare che un giorno queste reti possano diventare un’avanguardia” (Avvenire, 15 Aprile 2020).

È già successo, può succedere ancora. Si tratta, con Edgar Morin, di scommettere sull’improbabile.

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