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La moglie del sindacalista ucciso: «Non si può morire mentre si lotta per difendere dei diritti»

Intervista al Corriere: «Quell’autista ha rovinato la mia famiglia e anche la sua. Ma dovrà pagare per quello che ha fatto»

La moglie del sindacalista ucciso: «Non si può morire mentre si lotta per difendere dei diritti»
Foto dalla bacheca Facebook di Adil

Adil Belakhdim è morto venerdì mattina a Biandrate, in provincia di Novara. Aveva 37 anni, era un sindacalista di Si Cobas. E’ stato investito da un camion davanti a un magazzino Lidl durante una manifestazione di protesta per la situazione dei lavoratori nel settore della logistica.

Alla guida del tir c’era Alessio Spaziano, 25 anni, camionista casertano. Spaziano è fuggito dopo aver forzato il blocco. Il Corriere della Sera scrive che era spazientito da quel picchetto che impediva ai tir di proseguire. Ha avuto una discussione con i manifestanti, che non volevano spostarsi. Ha investito tre persone, poi ha travolto Adil, trascinato per una decina di metri. Il giovane è morto sul colpo. Dopo essere scappato, ha interpellato un conoscente poliziotto ed ha deciso di costituirsi. E’ stato arrestato.

Adil, originario del Marocco, era entrato nella filiera della logistica per potersi pagare gli studi. Nel 2014 era stato
eletto delegato sindacale. Dopo il licenziamento era stato per due anni volontario sindacale. Dopo la sua morte, in tutta Italia sono scattate manifestazioni spontanee e proteste organizzate dai sindacati. Il Corriere della Sera oggi intervista sua moglie, Assia Lucia Marzocca.

«So che quello che è successo è una tragedia. Ma io voglio giustizia. Non si può morire così. E quel camionista dovrà pagare per quello che ha fatto».

La donna, pugliese, si trova in Marocco da gennaio con i suoi figli.

«Vado avanti solo peri nostri due bambini, Abelahi e Adam, 6 e 4 anni. Stavano aspettando il loro papà. Non lo abbracciavano da gennaio. Invece gli ho dovuto raccontare che è andato in cielo. Io ho scoperto della sua morte dai social. Volevamo costruire qui in Marocco il nostro futuro insieme e invece ora aspetterò il suo corpo qui ad El Jadida solo per dirgli addio».

Una storia, quella di Adil, drammatica.

«Voglio giustizia. Non si può morire così. Mio marito stava lavorando. Credeva in ciò che faceva».

Adil partecipava sempre ai presidi, racconta.

«Era sempre presente ai presidi. Partecipava alle manifestazioni perché credeva nella giustizia e voleva lottare per difendere i diritti dei lavoratori. Era determinato, credeva in ciò che faceva. E soprattutto amava il suo ruolo di sindacalista. Non si può morire così mentre si sta lottando per difendere dei diritti».

La donna non si dà pace: il camionista era un padre di famiglia, proprio come suo marito.

«Pensavo fosse un adulto, non un 25enne. Ho pensato che oltre ad aver rovinato la vita della mia famiglia ha distrutto anche la sua. Le sue due bimbe non avranno più un padre proprio come i miei figli. È una tragedia. Ma dovrà pagare per quello che ha fatto. Sapeva a che cosa andava in contro. Mi sto facendo molte domande e non so darmi risposte. Mi chiedo perché lo abbia fatto. Continuo a domandarmi se era lucido e se si sia accorto di aver ucciso un uomo…».

 

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