Castellucci: «Vogliono addossarmi la colpa, ma nel Ponte Morandi c’era un difetto di costruzione»
Al Corriere: «La corrosione degli stralli era stata provocata da una serie di errori di costruzione. Un difetto occulto, ma viene da chiedersi se non sia stato addirittura occultato»

Tra i 59 imputati per il crollo del Ponte Morandi, che il 14 agosto 2018 uccise 43 persone, c’è l’ex amministratore delegato di Autostrade per l’Italia, Giovanni Castellucci. A quasi tre anni dalla tragedia, il Corriere della Sera lo intervista. Nonostante le carte dell’inchiesta abbiano evidenziato dettagliatamente che per 50 anni il viadotto fu lasciato quasi privo di manutenzione, Castellucci insiste sul difetto originario di costruzione, tesi portata avanti dalla difesa.
«Gli incidenti probatori hanno evidenziato che già nel 2000, quando la società fu privatizzata, il margine di sicurezza dello strallo del pilone 9 nel punto di rottura (cd reperto 132) si era ridotto dell’80%, nonostante l’importante ciclo di manutenzione del 1993 eseguito dallo Stato prima di consegnarci il Ponte. Perché il difetto di costruzione era occulto. Ma anche prima della tragedia i lavori sul ponte erano continui: il giorno dopo la caduta Il Secolo XIX titolò “crolla il ponte dei cantieri infiniti”. Erano interventi di miglioramento della struttura e non correttivi perché nessuno dei tecnici ipotizzava la presenza del difetto di costruzione, per questo figurano alla voce investimenti e non manutenzioni».
Secondo l’accusa, gli stralli erano gravemente corrosi. L’ex ad di Aspi risponde al rilievo:
«Lo stesso incidente probatorio ha evidenziato che i cavi degli stralli avevano una ossidazione superficiale o al massimo modesta, tanto è vero che non sono stati nemmeno analizzati nel dettaglio; sul reperto 132, invece, la corrosione profonda era stata provocata da una serie di errori di costruzione: cavi portanti affastellati, bolla d’aria nel getto di calcestruzzo, guaine di protezione troppo corte, materiali estranei, fessurazioni diffuse. Il tutto sotto quasi mezzo metro di cemento armato. Un difetto occulto, ma viene da chiedersi se non sia stato addirittura occultato, dato che quello fu l’unico pilone a non essere mai stata sottoposto alla prova di carico obbligatoria per legge. Tecnici qualificati nel 1993, e cioè in occasione della precedente ristrutturazione, decisero per il pilone 9 solo l’impermeabilizzazione, con una prognosi di rivalutazione al 2030. Impostarono anche un sistema di monitoraggio attraverso una tecnologia elettrica che però non identificò il difetto, perché, come riportato dai periti, il modo più sicuro per individuare il problema sarebbe stato di demolire tutto il cemento armato e mettere a nudo i cavi profondi. Ma si sarebbe dovuto sapere dove e cosa cercare».
Le indagini hanno fatto emergere la tendenza dei manager a risparmiare sulle manutenzioni per assicurare maggiori dividendi agli azionisti. Castellucci dichiara:
«I dividendi annui inseriti nel piano finanziario dopo la mia uscita e nonostante le nuove regole tariffarie sono circa il doppio di quelli distribuiti durante la mia gestione. Quanto alla spesa su ponti, viadotti e sicurezza dopo la privatizzazione del 2000 era più che raddoppiata. Ed era tutto alla luce del sole».
L’ex ad di Aspi lamenta che sembra che tutti vogliano dare la colpa a lui.
«Mi pare che si vogliano addossare le responsabilità a me. Dopo la privatizzazione abbiamo lavorato e investito tanto proprio sul tema della sicurezza. Tutor, asfalto drenante, cantieri notturni e tanto altro avevano ridotto radicalmente il numero di morti sulla strada: circa 300 vite risparmiate ogni anno. Eravamo considerati un modello in tema di sicurezza. E anche su Aeroporti di Roma avevamo applicato lo stesso metodo con successo trasformandolo in un punto di riferimento in Europa. Piuttosto mi stupisce il tentativo di tutti coloro che avevano un ruolo per assicurare la sicurezza e i controlli di trasformare dopo la tragedia quella che era la condivisione totale in ignoranza di tutto. Certo che mi domando se nel mio ruolo avrei potuto fare qualcosa di diverso, però tutti i giornalisti bene informati sanno che negli atti depositati ci sono i miei continui inviti ad affrontare il tema delle manutenzioni e del controllo del ponte in maniera organica e risolutiva nonostante le rassicurazioni dei tecnici interni ed esterni. Ma questo purtroppo non ha evitato la tragedia. E la documentazione raccolta dagli inquirenti solleva tanti legittimi interrogativi sulla gestione degli ultimi 50 anni che dovranno essere chiariti anche nel mio interesse. Il processo dirà qual è la verità, a cui tutti hanno diritto e per rispetto di coloro che della tragedia hanno tanto sofferto».