ilNapolista

Ancelotti è stato il nostro Socrate. Napoli gli ha preferito la cicuta, il veleno

L’intervista di Galasso sulla storia di Napoli spiega la città che mette sullo stesso piano Gattuso e Ancelotti. Immaginiamo De Laurentiis dopo aver visto Real Carlo II

Ancelotti è stato il nostro Socrate. Napoli gli ha preferito la cicuta, il veleno

L’ultima, magnificente invettiva di Max su Ancelotti tornato all’improvviso Real Carlo (gioia ma anche nostalgia) mi ha fatto riaprire l’indispensabile intervista di Giuseppe Galasso sulla storia di Napoli (a cura di Percy Allum, Laterza 1978) laddove il professore morto tre anni fa dice: “Da napoletano che cerca di farsi l’esame di coscienza, quando sento parlare di Napoli città martoriata, vittima, sventurata, ecc. resto sempre molto perplesso e mi chiedo, senza saper rispondermi, se sia possibile ignorare sempre che i primi, anche se non i soli, a nascondere cadaveri nell’armadio napoletano sono stati, e sono, quelli di casa”.

Ed è per questo che all’indomani della notizia dell’Ancelotti II nella capitale del regno di Spagna, mi chiedo ancor di più perché si continua a nascondere il cadavere dell’ancelottismo partenopeo nell’armadio autoctono. Si potrebbe mettere in mezzo “il napoletanismo deteriore”, sempre per citare lo storico Galasso, ma siccome il calcio è una metafora della vita e quindi della storia, secondo la lezione di Sartre, l’indagine su questo armadio esige uno sforzo politico e filosofico, non solo antropologico. Anche perché la nuova domanda di partenza dovrebbe provocare un sentimento collettivo di vergogna, facendo arrossire tutti, dai tifosi plebei all’élite cittadina. Cioè: com’è possibile che una città come Napoli rimpianga l’allenatore più modesto dell’èra De Laurentiis, Mister Veleno Gattuso, anziché chiedersi perché ha contribuito alla congiura per cacciare il nuovo allenatore del Real Madrid, la squadra più blasonata dell’orbe terracqueo? Gattuso e Ancelotti sono oggi due diverse sfumature di viola e ogni paragone risulta imbarazzante. Eppure nei resoconti dei fogli locali di questi primi giorni spallettiani la rimozione è totale. Si piange per Gattuso e si ricordano altre fulgide epoche: Mazzarri, Sarri, persino Reja. Non a caso si omettono gli unici due allenatori con una visione e che qui al Napolista abbiamo amato e tuttora amiamo per la loro diversità vincente: l’ispanico Benitez e l’emiliano Ancelotti. Entrambi derisi se non linciati e ritenuti non all’altezza della napoletanità imperante.

Certo, si potrebbe rispondere che è molto più facile cedere all’estetica del populismo (da de Magistris a Sarri passando per il laticlavio a Sandro Ruotolo), ma il mio interrogativo è rivolto soprattutto a quel riformismo illuminato che a Napoli è considerato una tradizione secolare, a partire dal fatidico Novantanove. Nella parte del mio archivio dedicata al Napoli, ripesco una pagina del Corriere del Mezzogiorno di due lustri fa, del 14 agosto 2011. È un’intervista al filosofo Biagio de Giovanni, il massimo del riformismo napoletano estremo, che paragona De Laurentiis al grande ministro di Carlo di Borbone poi re di Spagna, Bernardo Tanucci, e il nostro allenatore dell’epoca, Walter Marrarri, nientemeno che a uno dei più noti giacobini della Rivoluzione napoletana, Mario Pagano. Mazzarri, capito? E chi dovremmo scomodare per Ancelotti, accantonando la fase di Benitez laddove il manager spagnolo costruì la squadra che poi fece le fortune del Comandante finto-comunista?

Qualcuno potrebbe obiettare: ma cosa pretendi da una città in cui gli eredi postcomunisti galleggiano poco al di sopra del 10 per cento e alle prossime Amministrative il frazionismo a sinistra è molto più di una malattia? Non dimenticando che il mio ex direttore Antonio Polito (ex mio e di Max) qualche tempo fa, sempre sul Cormezz, ha riproposto il Napoli di DeLa come un’unica azienda funzionante della città. Qui però la questione incrocia l’opportunismo dell’egocentrico patron degli azzurri, che come Berlusconi è tutto e il contrario di tutto: populista e riformista, passionale e razionale. E il punto più basso della sua gestione resterà per sempre l’aver assecondato la congiura interna che ha portato all’esonero di Ancelotti per sostituirlo con Mister Veleno. Chissà cosa avrà pensato ieri il presidente, vedendo Ancelotti nuovamente madridista, senza nulla togliere all’ingaggio beneaugurante di Luciano Spalletti. Mister Aurelio voleva Allegri e aspettava la trattativa di questi con il Real, invece Allegri è tornato alla Juve e l’allenatore del Real, De Laurentiis, un tempo ce l’aveva in casa. Che beffa!

Quando è stato annunciato il Carlo Real bis mi ha colpito una frase colta in un servizio tv e che fa riferimento alla “sapienza” di Ancelotti. Verissimo. Nel caos napoletano ho sempre immaginato Re Carlo come una figura socratica, un maestro che prima o poi sarebbe stato processato come il filosofo ateniese per non aver creduto negli dei della città e per aver corrotto i giovani. Del resto nell’ignobile congiura contro di lui ha pesato il fatto di aver capito prima di tutti che il Napoli doveva liberarsi delle scorie del sarrismo, a partire dalla mattonella di Insigne. Sì, Re Carlo è stato il nostro Socrate e gli abbiamo fatto bere la cicuta perché si doveva restaurare e non rifondare. Ma il calcio, come scrive il mio amico Cristiano Desiderio, altro filosofo, nel suo “Football” (Liberilibri, 2020) insegna che i moduli non sono il logos, cioè il pensiero che diventa concretezza. Di mezzo c’è il reale, il tocco che muove il pallone: “L’allenatore sa che gli schemi di gioco sono secondari al manifestarsi reale del gioco”. Questa è la sapienza. E io dopo la notizia di ieri non mi rassegno al fatto che tra sapienza e veleno, tra Socrate e la cicuta, Napoli abbia scelto quest’ultima. Incredibile.

ilnapolista © riproduzione riservata