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Mourinho a Roma ci ricorda qualcosa. Il Foglio: “occasione di svolta cosmopolita per la città”

Cerasa sventola la bandiera che osiamo definire napolista. Il calcio è un modo per parlare d’altro. Roma e Napoli sono di fondo uguali, diverse nello svolgimento

Mourinho a Roma ci ricorda qualcosa. Il Foglio: “occasione di svolta cosmopolita per la città”

Leggere il Foglio, l’editoriale del direttore Cerasa su Mourinho a Roma, e provare un tuffo al cuore. È un tutt’uno col ricordare le battaglie napoliste per Benitez e Ancelotti. Cambiano solo i nomi, il “core” (in inglese non in romanesco) è lo stesso. Cerasa contrappone l’opportunità Mourinho al pantano grillino, a quel che lui definisce modello Roma Pupona; noi lo contrapponevamo al moloch della napoletanità che non si capisce bene cosa sia, e che certamente è un modo per preservare la propria immutabilità, un vaccino perenne a qualsiasi forma di cambiamento. È tutto detto in “No, grazie il caffè mi rende nervoso” – film il cui soggetto è di Massimo Troisi, non dimentichiamolo. Non ci siamo inventati niente.

Ma veniamo a Roma e a Mourinho. Scrive Cerasa:

se si ha la pazienza di ragionarci per un istante si capirà che l’arrivo di Mourinho a Roma ha un’importanza notevole, per la città, anche per ragioni del tutto diverse da quelle sportive. Dopo anni di talenti, di cervelli e di capitali in fuga disperata da Roma – negli anni della Raggi le aziende che hanno trasferito parte delle proprie attività fuori da Roma sono tantissime, da Sky aMediaset passando per Esso, Opel, Total, Consodata, Baxalta, Mylan, Wind Tre e Almaviva – l’arrivo di Mourinho rappresenta il primo caso di un talento internazionale e cosmopolita che piuttosto che portare il proprio malloppo il più possibile lontano dalle sabbie mobili romane sceglie sorprendentemente di puntare tutte le sue fiche nella Capitale.

E poi il passaggio cruciale:

Il calcio è un mondo diverso da quello politico e nulla c’entra con la politica l’arrivo di Mou a Roma. Eppure, sempre giocando con i simboli, è difficile negare che per Roma, oggi, non vi sia un’opportunità simile a quella tentata dalla Roma calcio: tornare a essere un po’ meno cialtrona e semplicemente un po’ più attrattiva. Il passaggio della Capitale d’Italia dall’immagine di Roma ladrona a quella di Roma padrona è un passaggio cruciale che non dipenderà solo dalla scelta del prossimo sindaco (alternative a Raggi: fare presto) ma che dipenderà in buona parte dalla capacità della classe dirigente della Capitale di ispirarsi un po’ meno al magico provincialismo immobile incarnato dal modello della Roma Pupona e un po’ più al rischioso e vivace cosmopolitismo incarnato dal modello Mourinho.

Napolismo in purezza. Non sappiamo come finirà. Va anche detto che Mourinho è certamente cosmopolita ma è anche sufficientemente paraculo. Mourinho si appoggerà alla città, non arriva con chissà quali ambizioni culturali. Certo potrà essere una guida, questo sì. Un modello. Crediamo che non finirà mai in contrapposizione con il ventre molle del romanismo. Non ripeterà Kolarov (“i tifosi non capiscono di calcio”). Ma non possiamo che essere d’accordo con il Foglio. Il calcio ha una forza simbolica, altrimenti non sarebbe così popolare (nonostante la continua crescita degli e-sports).

Quanto a Roma, crediamo che sia uguale e diversa da Napoli. Apparentemente diversa. Si basa su quel finto distacco per cui tutto ti passa addosso perché loro sono Roma e hanno visto tutto. E stanno lì ad osservare perché la storia è sempre passata da lì e sempre passera da lì. In fin dei conti, è un’altra forma di immobilismo e di difesa. Proprio come da noi. Senza quel connotato di fondamentalismo che ormai a Napoli ha assunto dimensioni che hanno ampiamente superato il grottesco. La chiusura culturale è andata ben oltre i livelli di guardia, siamo lontani anni luce dalla Napoli di Pino Daniele che cercava lo scambio, che andava verso il mondo. Napoli oggi è lì, immobile. Stanca di essere sfibrata dai luoghi comuni, per difesa ha intrapreso il processo inverso: ci si è tuffata nel luogo comune, ne ha fatto la propria ragione di vita. L’ha elevato a status. Ci siamo fatti macchietta per tutelarci dal dolore. Siamo perennemente in guerra con un nemico invisibile: il mondo sporco e cattivo che ce l’ha con noi. E le nuove generazioni vengono educate seguendo questo credo.

A Roma è diverso. È un’altra forma di immobilismo. Ma con tratti in comune, soprattutto calcistici, se pensiamo al modo in cui sono stati trattati Luis Enrique prima e Fonseca poi (ne scrivemmo a proposito del sovranismo calcistico). Mourinho è sì uno straniero ma non è un pirla. Saprà giocare con i confini, proverà ad allentarli, ma non li spezzerà. Non è quello che gli interessa.

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