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Massimo Fini contro il calcio in tv: “con questa mentalità da preti non ci sarebbe stato Maradona”

Sul Fatto si scaglia contro la melassa moralistica. Difende il diritto a non esultare, definisce Caressa moralista viscido e Cairo uno che paga i collaboratori a 20 euro

Massimo Fini contro il calcio in tv: “con questa mentalità da preti non ci sarebbe stato Maradona”

Sul Fatto Quotidiano Massimo Fini si scaglia contro “il bacchettonismo” del calcio italiano, sottolineandone “la mentalità da preti” dei commentatori, con la quale – scrive Fini – “non ci sarebbe mai stato Maradona”. L’editorialista arriva a dare a Fabio Caressa del “moralista viscido”.

Punto di partenza: la non-esultanza di Rrahmani dopo aver segnato al Verona. Un atteggiamento che ha infastidito praticamente tutti, soprattutto i tifosi del Napoli. Caressa l’aveva commentato così, nel post-partita:

“È intollerabile, inaccettabile. Il giocatore è pagato dal Napoli, un comportamento del genere è inammissibile”.

Fini ce l’ha con questa impostazione. E scrive: “Una squadra di calcio compra le qualità tecniche, tattiche, fisiche di un giocatore, non compra, né può, i suoi sentimenti, non compra le sue passioni, non compra la sua anima”.

Nel bacchettonismo italiano è diventato normale che le società di calcio controllino la vita privata dei giocatori. E anche questa è una violazione, oltre che della privacy, della libertà personale. Se uno gioca male lo mandi in panca, in tribuna, lo escludi dalla rosa. Cosa fa fuori dal campo sono fatti suoi. Idems e gioca bene. Con questa mentalità da preti non ci sarebbe mai stato Maradona.

E calca la mano: “l’esultanza o meno esce dal perimetro del campo di calcio ed entra in quello dei diritti costituzionalmente garantiti, cioè nella libertà di esprimere il proprio pensiero, la propria sensibilità, la propria personalità (art. 21). Il giocatore deve rendere per quanto è pagato. Il resto sono fatti suoi. Rrahmani ha segnato il gol? Sì. E questo deve bastare”.

L’attacco ai “moralisti viscidi alla Fabio Caressa” è dritto per dritto: la storia di Quagliarella, il calciatore che più si è contraddistinto in carriera nel tentativo di non infastidire i suoi ex tifosi esultando, è “una bella lezione per Caressa e tutti i Caressa che riconoscono solo la legge del denaro e si impipano dei sentimenti”.

“Nel bacchettonismo italiano è diventato normale che le società di calcio controllino la vita privata dei giocatori”.

Non manca una stoccata a Cairo:

vorrebbe fare il Berlusconi ma lui, che i quattrini li ha ma paga i collaboratori del Corriere 20 euro a pezzo, i migliori giocatori li vende.

E poi l’affondo sulle tv:

“Per contratto gli allenatori e i giocatori devono prestarsi alle interviste di Sky nel dopopartita. Ne esce una melassa indigeribile”. “È tutto un complimentarsi a vicenda. E a Sky, Caressa si è anche lamentato che un giocatore, come domenica Cristiano Ronaldo, rilasci interviste a un altro network. Oltre che il monopolio del gioco vorrebbero avere anche quello delle opinioni”.

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