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Giallini: «Ho deciso di diventare popolare quando è morta mia moglie, per dare una possibilità ai miei figli»

Al Corriere: «Lei voleva che facessero il Classico, uno lo fa, l’altro l’ha finito. La notte aspetto che tornino e ho paura che muoiano, poi li sento e scrivo: buonanotte amori»

Giallini: «Ho deciso di diventare popolare quando è morta mia moglie, per dare una possibilità ai miei figli»

Il Corriere della Sera intervista l’attore Marco Giallini, protagonista della serie Rai «Rocco Schiavone». Ha vinto 3 Nastri d’argento per i film «Acab», «Tutta colpa di Freud» e «Perfetti sconosciuti».

Racconta la sua passione per la moto, di cui porta addosso le cicatrici.

«Cinquantadue fratture in un colpo solo. Mi sogno a volte l’attimo che pinzo. Io vado forte. Nelle borgate, ci si giocavano anche i denari, andando a 200 o 240 all’ora».

52 fratture dovute ad caduta dalla moto mentre correva verso casa, sul bagnato.

«In moto so andare a un livello che pensavo di essere un dio, finché ti rendi conto che le cose possono accadere. Un amico ha detto: Giallini ci scrive con la moto. Sentirmelo dire mi fece piacere».

Dice di avere un animo gentile, e di averlo scoperto quando era bambino.

«Da bambino. Quando vedevo tutti felici a casa. Papà, dopo dieci ore di lavoro, tornava in un buco, morto di fatica, un po’ bevuto per non sentire, non capire, e mi faceva l’occhiolino e tutti ridevano, e io facevo finta di andare in bagno e mi veniva da piangere. L’ho capito anche con mio nonno, che non era mio nonno, Ercole si chiamava, era una persona misteriosa che ci tenevamo dentro casa. Un giorno, avevo 9 anni, passiamo insieme davanti a un boss del quartiere. Tornava da caccia con la doppietta. Ercole mi fa: ahò, non gli stare vicino a questo, che ti dà una revolverata. E il boss disse solo: buongiorno, Ercole. A un altro, l’avrebbe accoppato, i meccanismi erano quelli. Ho pensato: ma chi è Ercole? Mi è rimasto il mistero. Chiedevo a mio padre. Niente».

A luglio sono dieci anni che ha perso sua moglie Loredana. Dice di essere in lockdown da allora.

«Alla fine, io sto in lockdown da quando è morta Loredana. Quello è il momento in cui ho deciso di diventare popolare. L’ho deciso proprio, perché sarei uno che s’adagia, sono pigro, ammazza come sono pigro. Nel senso che ancora aspetto di giocare con la Roma. Ero arrivato qui, a Tor Lupara, per Loredana. Ci siamo messi in 40 metri, non eravamo abbienti. Ci siamo sposati nel ’93, facevo teatro e altri lavori, però avevo ripreso la scuola, mi ero iscritto a Lettere e a scuola di recitazione. Ero diventato bravo, colto, oltre che bandito».

Una vita di sacrifici:

«Facevo l’imbianchino, otto ore. E la sera, la scuola di teatro. Poi, otto ore erano troppe. Ho iniziato a portare il camion delle bibite, la mattina. Dopo, tornavo a casa, doccia, prendevo il mio Yamaha, andavo a scuola. Parcheggiavo contro il muro, non avevo manco il cavalletto e entravo, col chiodo, i capelli lunghi. Boom! A volte, mi prendevano per uno spettacolo. Un giorno, per strada, avevo il cappello di carta da muratore, incontro un collega attore. Mi guarda: ma che fai? E io: stamo a fa’ un film».

Ha deciso di diventare popolare per dare una chance ai suoi figli, di 12 e 5 anni

«Per dare una possibilità in più ai figli. Dovevo tirarli su come ci eravamo promessi. Lei voleva che facessero il Classico, uno lo fa, l’altro l’ha finito: è una cosa stupenda, chi fa il Classico si riconosce da lontano».

Il dolore per la morte della moglie non passa mai.

«E che passa? Ti dimentichi un po’ la voce. Ci parlo ancora. Quando sto solo e qualcosa non va. Dico: Eh amore mio…».

Ad aiutarlo, con i figli, sono stati il fratello di Loredana e sua moglie.

«Si sono trasferiti al piano di sotto. I miei figli mi dicono ti amo. Quanti figli ti dicono: ti amo? Sono bravi. Il grande, una volta, mi disse: io l’adolescenza non l’ho avuta, mamma è morta che avevo 12 anni e non ho avuto nessuno da punire».

Alla morte pensa mai? Gli chiedono. Risponde:

«Sto che la notte ancora aspetto il rientro dei ragazzi, sto sempre lì che stanno per morire. Poi, li sento e scrivo: buonanotte, amori».

 

 

 

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