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Zidane l’anti-guru: vince dimostrando che l’allenatore conta pochissimo

A Benzema disse: «Non posso spiegarti come giocare a calcio. Lo sai benissimo da solo». Ha vinto 3 Champions su 4, non si antepone mai ai calciatori

Zidane l’anti-guru: vince dimostrando che l’allenatore conta pochissimo

Zinedine Zidane, senza aver mai smesso di essere Zizou, ad un certo punto ha dovuto studiare per diventare allenatore. Sono quelle ruggini della burocrazia che un giorno piazzano sullo stesso campo un istruttore, immaginiamo terribilmente imbarazzato, a spiegare a Zidane che ai ragazzi bisogna insegnare a passare la palla nello spazio. Lui, Zizou, se la ride: «Io direi piuttosto di passarla sui piedi. È più facile no?». L’aneddoto si ferma un attimo prima, supponiamo, che il povero istruttore di Zidane corresse via a piangere dietro un palo, costretto a dover fare i conti con il concetto di “facilità” declinato da… Zidane. Uno che ha fatto le cose facili, per tutta la vita. Da giocatore e da allenatore, mentre il mondo gli si attorcigliava attorno cercando impunemente di rinfacciargliela, quell’estetica dell’efficacia.

E così, quando il Real Madrid ha battuto 3-1 il Liverpool in quel cantiere che Klopp non ha mancato di sottolineare quanto fosse irrispettoso (“Anfield almeno è uno stadio”, ha detto schifando il Di Stefano), è tornato a riproporsi lo stesso cortocircuito: Zidane ha trasformato una piccola impresa in una bazzecola. Certamente non del tutto opera sua.

Zidane ha teso un filo tra il suo essere calciatore e la carriera in panchina: rimpicciolire l’allenatore, pure se l’allenatore è lui.

È come se giocando e vincendo a dispetto degli arzigogoli che gli dettavano sulle lavagne – e che lui trasformava in ricami, senza obiezioni altrui – avesse interiorizzato l’inutilità concettuale del tecnico-guru. L’ha scritto molto bene lo Spiegel, in uno dei pochissimi pezzi a lui dedicati stamattina: non allena mai più di quanto deve. Non complica le cose.

In una vecchia intervista alla rivista El Confidential disse che in panchina si soffre di più rispetto al campo perché «sei in panchina e quando inizia la partita già non puoi più fare niente».

Te ne stai lì, quasi mai seduto – ma nemmeno a tarantolarsi come fanno alcuni colleghi che provano a teleguidare i giocatori – e assisti a ciò che molti, dopo, metteranno sul tuo conto. Per Zidane il conto è sbagliato, lui c’entra, ma mica tanto.

Benzema in un documentario su di lui (“Le K Benzema”) racconta che quando prese in carico la panchina del Real, lo chiamò in disparte e gli disse: «Non posso spiegarti come giocare a calcio. Lo sai benissimo da solo, come si fa».

Zidane ha reso questo distacco intenzionale un manifesto. Tanto che la critica ha poi deviato, sottostimandolo clamorosamente, assecondando questa timidezza d’immagine: non sembra mai Zidane il protagonista dei suoi successi. Eppure ha vinto tre Champions su quattro che ha giocato (da allenatore). Ha vinto 31 delle 50 partite da allenatore in Champions. Con il passaggio di format da Coppa dei Campioni a Champions League, dal 1992, nessuna squadra aveva mai vinto due coppe consecutive prima del Real Madrid di Zidane. E questo è quanto.

Arrivò da traghettatore, e tale è rimasto. Nell’anima. Il 4 gennaio del 2016 prese in mano il Real a fine ciclo di Carlo Ancelotti, che aveva vinto la “decima” due anni prima, dopo averla inseguita per dodici anni. Sobbarcandosi il difficile post-Benitez. Il suo curriculum fino a quel momento era riassumibile in un paio di voci: vice di Ancelotti e un paio di anni così così al Castilla. Avrebbe vinto due campionati, due Supercoppe spagnole e due europee, le succitate tre Champions, e due Mondiali per club. Senza mai provare l’ebrezza di spiegarci il “suo” calcio.

E nonostante la sfilza di premi come “miglior allenatore” di quasi tutto (appena l’anno scorso lo è stato per l’Equipe), continua a vagare per l’Europa refrattario alla ribalta. Estraneo a un sistema che, tra l’altro, domina: l’allenatore non è il centro di tutto, semmai orbita attorno ai giocatori in precario equilibrio.

In un’intervista a L’Equipe diceva: «Ci sono un sacco di cose che non so. Per fortuna ho fatto il corso da allenatore. Prima di insegnarmi qualcosa è servito a farmi capire che non ne sapevo niente… insomma, non un granché”. Quel Zidane che parlava era la versione 2013: il calciatore che aveva vinto tutto giocando “facile”. Quello che “i passaggi si fanno sui piedi”. E’ ancora tutto lì Zidane. In un assist da 40 metri di Kroos, un lancio in verticale che Vinicius controlla a seguire. Le cose facili, pure quando sono difficilissime.

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