A Tuttosport: «Non si può controllare tutto ma il buon direttore sportivo deve dare l’impressione di controllare tutto. La differenza la fa sempre il campo»

Tuttosport intervista Luciano Moggi. Il pretesto è la cena fuorilegge a casa di McKennie, centrocampista della Juventus.
«Ah ah ah! Ma si può farsi sgamare dai vicini di casa?».
A parte la battuta, Moggi giudica serissima la questione.
«Con il Covid non si scherza. E quello che mi dà più fastidio è che i giocatori hanno violato le regole della pandemia. In giro si vedono già troppi comportamenti irresponsabili, se poi ci si mettono pure i giocatori a dare il cattivo esempio. E poi c’è la mancanza di sensibilità sul momento della squadra».
Quando era lui direttore sportivo della Juventus, però, racconta, gliene sono capitate di peggiori.
«In quel periodo c’era l’Hollywood di Milano, era la discoteca dove andavano sempre la domenica sera dopo la partita. Io avevo messo la regola: con la settimana libera si può, se mercoledì c’è la Coppa allora niente Milano. Tutti la seguivano tranne Trezeguet. Me lo segnalano una volta, due volte… alla terza finita la partita, mentre lui è ancora sotto la doccia, schizzo a Milano e vado all’Hollywood ad aspettarlo. Trezeguet era un paraculo fenomenale, quindi mi ha sorriso come se niente fosse. Gli ho detto: guarda che fortuna David, ci sono anche io, così ti accompagno a casa. Andiamo? Mi ha detto: subito direttore, con piacere! Non si è neanche tolto il cappotto e siamo tornati a Torino».
In quell’occasione Trezeguet ebbe una multa, ma meno salata di quella che toccò a Camoranesi in altra occasione. Moggi racconta:
«Quando non venne in ritiro beccò 200mila euro! Così prendevo due piccioni con una fava: Giraudo era contento per il bilancio e io tenevo la disciplina nello spogliatoio!».
Il direttore sportivo non può controllare tutto, ma deve dare l’impressione di farlol, dice Moggi.
«Ma mica si può controllare tutto eh? Il buon direttore sportivo, però, deve dare l’impressione di controllare tutto. Le cene, le serate fuori, gli sgarri, sono sempre esistiti in tutte le squadre. La differenza la fa sempre il campo, come dicevo sempre a Montero».
E continua:
«Quando arrivò mi disse: ‘Direttore, lei deve sapere che per me la notte è come il giorno’. E io gli dissi: ‘E tu devi sapere che per me notte e giorno non contano, vale quello che fai in campo, sia con il sole che con i riflettori. Lì ti giudicherò e valuterò se sei da Juve’. Poi lo facevo controllare, logicamente. E sapevo che la sera stava fuori fino alle due o le tre, beveva qualche birra e poi.. poi non so esattamente come finiva le serate. Però in campo mai un problema e tanto bastava».
Poi, però si sposò e le cose cambiarono.
«Aveva iniziato a rigare dritto, cena alle 8 e poi a nanna presto. E in campo non sembrava lo stesso. Così l’ho chiamato e gli ho detto: ‘Senti Paolo, qui c’è bisogno che tu torni a fare le serate nei locali, perché così non va bene. se vuoi ci parlo io con tua moglie’. Lui lo racconta ancora».