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Guardare giocare Benzema è come sfogliare il manuale del calcio

Sa fare tutto. Ora che non c’è più Ronaldo, segna sempre lui e finalmente anche i critici ne riconoscono la grandezza

Guardare giocare Benzema è come sfogliare il manuale del calcio

Non è vero che De Laurentiis disse “Benzema è vecchio”. Disse che lui per il Napoli di Ancelotti voleva solo “gente giovane, giovane, giovane”. Il senso della ridondanza anagrafica era quello però, ed era ancora il 2018: Benzema aveva appena 30 anni, era nel fiore della fanciullezza agonistica. I successivi tre li avrebbe passati a fare una cosa facile facile: l’attaccante totale. Fino ad arrivare al 27 aprile 2021, evidentemente vecchissimo, a tenere incollato il Real Madrid alla Champions nonostante il Chelsea, il momentaccio politico di Florentino Perez, il fiasco della Superlega ancora fumante e tutte le sovrastrutture che lui distrugge nel soffio dell’istinto: movimento, rotazione, piede, palla, gol.

Benzema è una specie di ripetitore di se stesso. Il gol che segna al Chelsea, quell’1-1 che dà un senso alla semifinale di ritorno, è la replica ennesima di una cosa che fa in mille varianti diverse dal 2004, dal Lione: controllo – controllo! – di testa e girata al volo sotto la traversa. È una delle sue facce: il bomber. Poco prima, in penetrazione centrale s’era fermato al tiro dalla lunetta: palo esterno di sinistro. Un’altra faccia: il percussore. Per l’elenco completo sfogliare le dispense: 258 gol in 721 partite, pratico raccoglitore in omaggio. Non basterebbe comunque, perché in quella statistica – fredda, scontata  – non è compreso il Benzema rifinitore, la spalla. Il coprotagonista di altrui Palloni d’Oro.

«Dipende da come vedi il calcio. Un attaccante non è solo il gol, deve partecipare, creare gli spazi, fare assist… Capisco la critica, però io ho un’altra visione del calcio. Una punta moderna deve saper passare, muoversi senza palla, segnare e fare assist. Per i giornalisti di oggi, ciò che conta sono le statistiche».

Le virgolette sono sue, e anche queste è costretto a dettarle ogni tanto a giustificazione di una carriera piena di virtù, che gli viene rinfacciata quasi per mancanza di purezza: “eh ma segna poco, eh se fosse più egoista, eh se fosse meno egoista, eh se glie ne fregasse di più, eh ma…”.

Non fosse per Messi, il “vecchio” Benzema sarebbe il miglior marcatore della Liga, l’anno scorso (21 gol) come quest’anno (ancora 21 gol, per ora). Nella storia “blanca” ha superato Puskas, ora ha davanti solo Santillana, Di Stéfano, Raúl e Cristiano Ronaldo.

L’elefante nella sua stanza è sempre stato un Ronaldo. Il primo inimitabile Fenomeno, idolo d’infanzia, poster in cameretta. Il secondo, gemello diverso, che affamava lui e i compagni al Real come adesso non riesce più a fare alla Juventus.

Nel suo documentario “Le K Benzema”, (sì, ha un documentario tutto suo, come i grandi davvero grandi) parla col papà e gli ricorda che lui a differenza degli altri papà si metteva sempre dietro la porta avversaria a rompergli l’anima, per tutto il tempo. «Venivo a tutte le partite, a tutte. L’unica cosa che dicevo era che dovevi segnare, niente di più. “Forza tira! Tira! Tira! Forza segnalo! Non la passare dai, andiamo”». Come tantissimi padri di campioni ha cominciato a complimentarsi col figlio a cose già fatte, forse troppo tardi. Nella disfunzionalità di questi rapporti c’è spesso il seme di grandissime carriere.

«E’ stato impegnativo, ma è grazie a lui che ho una mentalità d’acciaio. Certo, gli sono grato. Se oggi sono quello che sono, è per quell’educazione».

Di lui Mourinho disse: “non posso andare a fare la caccia alla volpe con il gatto”. Il gatto era Benzema. Lo pungolava dando al felino l’accezione deteriore, lo racconta anche Valdano: il gatto è coccolone, domestico, inoffensivo. Perché Benzema ha avuto un periodo in cui segnava davvero poco (nel 2017-18 fa solo 5 gol in Liga, due su rigore, e 11 assist. L’effetto di Ronaldo sugli altri attaccanti…). E Mourinho, al solito, usava il ricatto emotivo risucchiando l’attenzione sul suo lavoro: una volta bollato come pet mansueto, ogni gol sarebbe stato merito suo che ne aveva innescato la reazione d’orgoglio. Altrimenti sarebbe rimasto un gatto, e Mou avrebbe avuto comunque ragione. Poi, ci pensò Ancelotti a invertire la gerarchia tra lui e Higuain: Karim restò a Madrid, Gonzalo venne a Napoli.

Ma c’è un motivo per cui Zidane ne ha fatto il centro di gravità di tre Champions League vinte: Benzema esprime – di nuovo – la complessità dell’attacco. Se ne sobbarca il peso e la leggerezza, col timing di chi non ci pensa, fa tutto l’istinto. Nessuno funziona così, in Europa e nel mondo. Con una continuità di rendimento disarmante e pochissima vanità da starlet.

La parte privata – un po’ “zarra” – della sua carriera è rimasta in Francia, dove non gliene hanno fatta passere una. In Spagna i critici si dedicavano a demolirne i numeri, quando s’afflosciavano. Ora che è in bolla da due anni abbondanti, forse più, sta passando all’incasso mediatico. Quasi un riconoscimento postumo, non fosse che Benzema è ancora il motivo sovrabbondante per cui il Real si sta giocando le sue chance di finale di una competizione che vorrebbe bruciare. Non proprio “giovane giovane giovane”, ma nemmeno decrepito. Benzema ha mille facce, e non un’età.

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