Il Corriere della Sera intervista un medico del bergamasco. «La strage di Bergamo fu questo: per tre settimane i nostri compaesani morirono come mosche»
Oggi l’Italia celebra le vittime del Covid. Il sacrificio più grande, nella prima ondata del virus, lo ha pagato Bergamo. Il Corriere della Sera intervista Mario Sorlini, medico di base nella città lombarda. Ricorda quei terribili giorni e i camion militari pieni di bare.
Bloccato in auto dietro quei convogli luttuosi, ricorda il pensiero da cui fu sopraffatto:
«Mi appoggiai al volante, chiedendomi perché Dio ci stesse facendo questo».
Ammette che non si rese conto subito di quanto stava avvenendo. Lo capì, dice, “troppo tardi, come tutti”.
«Mattina del 24 febbraio. Una telefonata dietro l’altra. Così, senza nessuna avvisaglia. I miei assistiti si ammalavano uno dopo l’altro. Cento chiamate al giorno. Avevo 1.600 assisiti. Ogni anno ne perdevo un paio per l’influenza. Lo scorso marzo ne sono morti 25 in 21 giorni, quasi cinquanta alla fine di quel mese. Quando si dice la strage di Bergamo, ecco, si tratta di questo. Per tre settimane i miei compaesani, la gente della nostra provincia, morirono come mosche».
Fu come lottare a mani nude contro un nemico invisibile.
«Al di là della Tachipirina, che era un po’ come fermare il mare con le mani, non sapevo nulla di questo virus. Cercavo di curare sulla base dell’esperienza, e della conoscenza dei miei malati. Mi sono sentito inadeguato, lo confesso».
Si andava avanti per tentativi. Racconta il senso di impotenza e di abbandono.
«Era compito della Regione Lombardia dirci cosa dovevamo fare. Ma questo sempre con il senno di poi. In quei giorni non ci pensavo. C’era solo da tamponare, fare radiografie, mandare persone che curavo da una vita al Pronto soccorso, senza sapere se le avrei mai più riviste. Un mio anziano paziente di Albino andò in coma. Si svegliò un mese dopo, in una terapia intensiva di Catanzaro».
Oggi la situazione è diversa.
«Per carità. Questa terza ondata è nulla rispetto a quel che è stato».
E ricorda quando, prima dell’estate, il virus andò via.
«Il virus è andato via ad aprile inoltrato. E ancora non sappiamo perché. Quando vedo in televisione miei colleghi pieni di certezze sul Covid, cambio subito canale».