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Non perdonerò mai a Gattuso di aver reso Fabián un calciatore banale

Il Napoli è destinato a non migliorare mai la propria condizione. Quasi forte, quasi vincente, quasi modello. È un grande quasi reiterato all’infinito

Non perdonerò mai a Gattuso di aver reso Fabián un calciatore banale

Quando, nel pezzo successivo a Cagliari – Napoli, ho scritto “il temutissimo Spezia”, non solo speravo di sbagliarmi, ma, è chiaro, ho nascosto dietro il nome Spezia, quello del Napoli. Sono gli azzurri quelli che temevo, e temo, di più. La maniera in cui la nostra squadra realizza l’autolesionismo è la migliore che si sia mai verificata in un campo di calcio. Addirittura la Treccani pare voglia aggiungere alla definizione di autolesionismo: – « […] atteggiamento o comportamento, più o meno deliberato o consapevole, che finisce col danneggiare fortemente chi lo assume, o che costituisce comunque una rinuncia alla difesa dei proprî interessi» – una ulteriore specifica, la seguente: «Comportamento generalmente assunto da una società sportiva che ha come sede il capoluogo della regione Campania, meglio conosciuta come SSC Napoli». Le prime due cose che ho pensato durante e dopo la partita, sono (soltanto apparentemente) distanti tra di loro. Per prima mi sono venuti in mente i personaggi dello scrittore Bernard Malamud, tutti soggetti a una sorta di condizione immutabile riconducibile alle origini ebraiche. Tale aspetto fa sì che ogni protagonista (vedi ad esempio Il commesso o L’uomo di Kiev) quando tenta di cambiare la sua condizione fallisce, gli eventi lo travolgono e – addirittura – peggiorano i presupposti dai quali si è mosso. La seconda cosa è più banale ma non meno importante, riguarda gli anni di Mai dire gol e di “Questo lo segnavo anch’io”, solo che al tempo ci ammazzavamo dalle risate, adesso purtroppo non c’è proprio niente da ridere.

Il Napoli è destinato a non migliorare mai la propria condizione, peggio ancora, è orientato a fornire – per sempre – l’immagine di chi la migliori costantemente, ma poi non si muove da dov’è, da dove è sempre stato. Quasi forte, quasi vincente, quasi modello, quasi esempio. Il Napoli calcio è un grande quasi reiterato all’infinito. Per carità, senza dover andare troppo indietro nel tempo, diciamo da quello di Mazzarri in poi, abbiamo visto degli ottimi Napoli, per brevi, medi e quasi lunghi periodi; eppure quando è stato il momento di fare il passo successivo abbiamo rinunciato. Senza dover parlare sempre degli allenatori del passato, facciamo un esempio di gestione campagna acquisti: il Napoli dovrebbe comprare dei Mertens (che non sono ancora dei Mertens) a 10, 20 milioni e non degli Osimhen a 60 (e poi vedere se diventino degli Osimhen). Non soffermatevi troppo sui due nomi, è solo un esempio. Per fare ciò devi avere dei dirigenti in grado di sondare il mercato e di saper “vedere il calciatore”. No, non pensavo a Giuntoli, che – francamente – oltre a essere non troppo capace, mi pare decisamente arrogante.

La partita di ieri è penosa, tra i novanta minuti più assurdi che io abbia mai (non) guardato. Mi pareva già troppo che fosse trasmessa da Dazn, invece era solo l’inizio. Credo non fosse passato nemmeno un minuto quando Insigne ha fallito una delle occasioni più incredibili dell’anno. Mi sono voltato verso le mie due canette e ho detto: “cominciamo bene”. Il Napoli nei primi 15 minuti, con un minimo di tranquillità, avrebbe potuto essere in vantaggio di un paio di gol. Una squadra seria, alla fine del primo tempo, avrebbe dovuto trovarsi in vantaggio per 4-0; lo scrivo con tutto il rispetto per lo Spezia, che ieri ha giocato una delle sue peggiori partite stagionali. Alla fine del primo tempo, in preda al panico (sentivo come sarebbe andata, quando hai visto il film un sacco di volte il finale non lo dimentichi), ho twittato qualcosa come: Il Napoli ha sbagliato cento gol. I gol si possono sbagliare, ma quando ne sbagli con tale frequenza c’è più di qualcosa che non va. Non basta più nascondersi dietro la sfortuna, la frenesia, l’emotività. L’allenatore non può più dire: “Ho fatto trenta tiri in porta”, come a sottolineare “che volete da me?”. E no, caro allenatore, se i tuoi giocatori sbagliano così tanto, e sei/sette volte in maniera assurda (ridicola, pazzesca, quello che volete), la colpa è anche tua, è soprattutto tua. Un lungo film triste che passa dal primo gol sbagliato di Insigne, dai tiri sempre uguali e troppo alti di Politano, dalle occasioni di Lozano, a quelle ridicole di Elmas, col teatrino conclusivo con Llorente: “Tiro io tira tu”.

La gestione di Gattuso è un fallimento, nell’ultimo periodo su 15 punti disponibili il Napoli ne ha fatti 4, di cui 3 con il Cagliari e uno con il Torino. Capisco anche l’allenatore quando dice “non sappiamo accettare il fatto che lo Spezia possa pareggiare”, e la colpa, di grazia, di chi sarebbe? Che pena. Tra le altre cose, non perdonerò mai a Gattuso di aver reso Fabián un calciatore banale. Basterebbe questo a giustificarne l’esonero. Ma noi scriviamo, non esoneriamo, però siamo in grado di capire quando la gestione tattica di una squadra è disastrosa. Ieri ne abbiamo avuto un altro esempio, una partita che vorremmo dimenticare.

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