Al Messaggero: «Mi portarono in ospedale con tempestività e mi salvarono. Non ho idea di quanto guadagno, gestisce tutto mia moglie. Mi dà ancora la paghetta. Cento euro alla settimana, benzina esclusa»
Il Messaggero intervista Christian De Sica (e Dagospia lo riprende). Oggi compie 70 anni ma, racconta, i giovanissimi gli dimostrano continuamente il loro affetto. Quando gira per strada lo chiamano «zio». Si racconta. Racconta i suoi no ad alcuni film, la gioia di avere accettato di interpretarne altri. Anche il suo rimpianto.
«Uno mi brucia ancora: non mi hanno permesso di fare La porta del cielo, il film sulla storia d’amore tra mio padre Vittorio e mia madre Maria. Erano gli anni d’ oro dei cinepanettoni e i produttori non riuscivano a vedermi al di fuori delle commedie. In questo Paese se fai bene il cowboy, devi farlo per sempre».
Ha un pessimo rapporto con il denaro, tanto da non gestirlo personalmente.
«È un macello. Non ho la minima idea di quello che guadagno, gestisce tutto mia moglie Silvia. Oggi, a 70 anni, mi dà ancora la paghetta. Cento euro alla settimana, benzina esclusa. E fa bene: se potessi spendere liberamente, combinerei solo guai. Magari tornerei a casa con un elefante imbalsamato. O rischierei di comprare 300 euro di mozzarelle, come feci una volta».
Gli chiedono quale sia la cattiveria più grande che abbia ricevuto. Risponde:
«Nel 2000, quando un petardo di Capodanno mi esplose in faccia mettendomi fuori uso l’ occhio destro, dovevo fare Un americano a Roma al Sistina e più di un collega si precipitò da Garinei dicendo: De Sica ormai è cieco, prendo io il suo posto. Ma dopo 9 operazioni tornai in pista e lo spettacolo fu un enorme successo. Il ricordo più brutto della mia vita. Ma grazie alla tempestività di mia moglie e di Aurelio De Laurentiis, da Cortina fui portato immediatamente all’ospedale e salvato».
Si considera un buon marito («Dopo 40 anni, Silvia e io ci amiamo ancora e ridiamo come al liceo») e un buon padre («Molto affettuoso, una chioccia»). E ritiene anche di essere stato un buon figlio.
«Sì, prendevo tutti 30 all’ università. Ero educato e rispettoso. Oggi invece i ragazzi se ne fregano, ma non è colpa loro se sono maleducati e ignoranti. La colpa è della tv, dove basta mostrare le chiappe per avere successo».
Ma, c’è qualcosa che, da figlio, non si perdona.
«Di non aver esaudito l’ultimo desiderio di mia madre che voleva tornare a Montecarlo dove accompagnava papà a giocare. Io non ce la portai. Sono stato uno stronzo».