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Sconcerti: dal giornalismo sportivo sono sparite le notizie, solo opinioni che rimbalzano sul web

Stralci del suo approfondimento su La Lettura. «C’è un controllo molto ingombrante dell’informazione, il capo della comunicazione dei club è il vero ufficiale politico della nuova informazione calcistica»

Sconcerti: dal giornalismo sportivo sono sparite le notizie, solo opinioni che rimbalzano sul web

Oggi è on line l’interessante riflessione di Mario Sconcerti sul giornalismo sportivo: che cos’era e che cos’è diventato. Il link lo trovate qui.

Sul Napolista ne riportiamo qualche capoverso.

Il mondo è cambiato, quindi è cambiato anche il calcio che del mondo fa parte. E sono cambiati il modo di raccontarlo, le necessità dell’informazione sportiva. Faccio un altro esempio: uno dei giudizi più famosi di Brera fu quello con cui definiva Rivera un abatino. Provatelo a scriverlo oggi, o anche solo a sussurrarlo con ironia per esempio su Totti o Del Piero, su Ronaldo o Ibrahimovic. Ne verrebbe fuori un caso nazionale da cui vorreste scappare il prima possibile. E non avreste una seconda occasione.

Sconcerti: (…) Ogni città aveva la sua firma potente. Contava più del presidente, molto più dell’allenatore. Le società, prima di prendere un tecnico nuovo si consultavano con loro. E se loro dicevano di no, non lo prendevano. La stessa cosa facevano quando era il tempo di cacciarli.

(…) Oggi le notizie sono quasi scomparse. O meglio, sono nella stragrande maggioranza guidate dalle società. Questo porta a un controllo molto ingombrante dell’informazione.

Sconcerti: (…) Se volete parlare con Pioli o Conte, con un allenatore in genere, dovete prima chiedere alla società, mettervi in fila e sentirvi dire che in questo momento è meglio di no, ci sono troppe partite. E quando mai otterrete l’intervista, vi troverete nella stanza non solo Conte ma anche il direttore della comunicazione, vero ufficiale politico della nuova informazione calcistica. Il quale controlla il suo stesso allenatore, che dica cose conformi all’ortodossia della società. E controlla che il giornalista le riporti in modo poco sovversivo.

(…) Questo piacere del controllo ha cancellato qualunque rapporto. Nessuno parla più con nessuno. Un giocatore a turno parla ogni giorno in conferenza stampa, davanti a tutti e con l’ufficiale politico accanto. Quindi solo frasi di routine. L’allenatore parla solo prima e dopo le partite. E solo perché credo sia ancora previsto dai contratti televisivi.

(…) Oggi la comunicazione è soprattutto talk show dove si scambiano le opinioni per notizie. È l’unico modo per rendere certa la discussione, farla diventare la notizia che manca. Il calcio è come un mondo ghiacciato che vive sotto le nostre parole, che tutti vedono e nessuno tocca. Ma dove tutti possono continuare ad andare avanti attraverso due vite infinite e parallele. Si discute sulle nostre opinioni a proposito di informazioni che non possiamo dare per reali. Ci si accapiglia su questo, cioè su noi stessi. E i siti fanno rimbalzare dovunque i flash del pensiero comune che porta a una realtà compromessa. Questo sembra il massimo che nel 2020 ha saputo portare l’ingresso di Internet nel nostro calcio: scambiarsi informazioni già pubblicate.

(…) Uno straordinario socialismo del mestiere dove l’importante non è avere prima una notizia arricchendo il lavoro, ma entrare nel corteo di chi, attraverso la notizia di tutti, comunque esiste, comunque vive. Meglio avere uno sgabuzzino tutti che una casa vera qualcuno. Ma il mestiere del giornalista di calcio oggi è questo? Brera scuoterebbe il capo e si accenderebbe un Avana.

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