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Un altro Maradona, in diapositive: i giornalisti dell’epoca raccontano il loro Diego

Firme storiche della stampa napoletana hanno condiviso ricordi personali che le legano al campione argentino. Storie vere e leggere, per sentirlo più vicino da un’altra prospettiva

Un altro Maradona, in diapositive: i giornalisti dell’epoca raccontano il loro Diego

C’è un flusso perpetuo di notizie e ritratti, di retorica, delle contraddizioni dell’uomo e del giocatore. Un flusso in cui si sente la necessità di distaccarsi per un attimo, alla ricerca di uno spazio tiepido, accogliente, leggero nella memoria. I giornalisti che hanno caratterizzato la narrazione e la cronaca degli anni Ottanta al seguito di Diego Armando Maradona hanno voluto condividere i ricordi più cari e personali, che restituiscono sfumature nuove del suo vissuto, non solo quello napoletano: dal centro Paradiso a Città del Capo, da New York a Tokyo. In un’epoca d’oro che, insieme ai successi del Napoli, ha lanciato tante carriere.

L’ultimo giorno con Diego
raccontata da Mimmo Carratelli

Era la vigilia di Pasqua e andai a trovarlo a casa. Mi aprì Marcos Franchi, il suo procuratore. Gianinna, due anni, nata il giorno in cui il Napoli vinse la Coppa Uefa, era già a dormire. Dalmita, quattro anni, nata il giorno del primo scudetto azzurro, era l’indiscussa regina della casa. La madre di Claudia, una signora minuta e paziente, con gli occhiali, chiudeva gli ultimi borsoni. Claudia, un po’ tesa, preparò il caffè.

Diego era in tuta e aveva la barba lunga. Stava guardando un vecchio match di Tyson. L’aveva visto combattere a Las Vegas e mi disse: “Al mio vecchio piace la boxe. Ora che col calcio ho finito avrò molto tempo per mio padre. Il calcio mi ha dato tanto, ma mi ha tolto moltissime cose”.

Mi commosse il suo viso che si addolcì mentre parlava del padre. Un po’ imbarazzato, gli porsi un dolce pasquale napoletano, la pastiera, che avevo portato con me. “È per te, è molto dolce”.

Il racconto completo di Mimmo Carratelli

“Io sono il capitano del Napoli”
raccontata da Gianfranco Lucariello

Quando usciva dagli spogliatoi, per rispondere alle domande dei giornalisti di tutto il mondo, si trasformava. Una volta gli dissi che non mi sembrava lui quando s’impostava, con quel petto all’infuori. Il Maradona di tutti i giorni era più uno scugnizzo che ci trattava con amicizia. Mi rispose con orgoglio: “Sono il capitano del Napoli e per forza devo assumere questo atteggiamento fiero”.

Anche in concomitanza di Napoli-Milan, molti hanno ricordato quella sfida scudetto al San Paolo che gli azzurri vinsero. E quella frase di Diego, “Non voglio vedere bandiere rossonere sugli spalti”: la disse a me, in aereo. Si stava dirigendo verso il bagno, poi mi chiamò Luca, diminutivo del mio cognome come faceva in genere, e la esclamò ad alta voce.

I due volti del patriota
raccontata da Francesco De Luca

Era molto difficile parlare da soli, ma nel settembre 1988 accadde. Eravamo al centro Paradiso. Il campionato non era cominciato ancora e c’erano le Olimpiadi a Seul. Io allora ero al Corriere dello Sport ed ero con Peppe Pacileo. Gli chiedemmo se potesse rilasciarci un’intervista. “Il mio grande rimpianto è non aver fatto le Olimpiadi” disse, perché all’epoca il mondo olimpico rifiutava le stelle del calcio. I grandi calciatori non erano ancora andati. Rimasi colpito che un eroe dei due mondi, di Argentina e Napoli, si preoccupasse anche delle Olimpiadi. Diceva “perché Lewis e Johnson fanno le Olimpiadi e io no?”

Mi colpì poi anche nel 2010, quando allenò la nazionale argentina ai Mondiali. Il prepartita ero uno show. Non era un selezionatore, era alla prima esperienza importante e non aveva la formazione necessaria, ma metteva tutto sotto il piano della passione e dell’impegno battendosi il pugno sul cuore. Lui si sentì Maradona anche in panchina finché non incontrò la Germania, che nella sua storia era maledetta di nuovo vent’anni dopo. Ricordo la sua tristezza a Città del Capo dopo il 4-0, per la prima volta sembrò piccolo, era infelice. In genere era pieno di sé e poi si sgonfiò. Aveva capito che sarebbe stato un altro punto di non ritorno della sua carriera.

Maradona, il giocoliere
raccontata da Rino Cesarano, Franco Esposito e Gianfranco Lucariello

Cesarano: A Soccavo alla fine di un allenamento palleggiava con un’arancia come capitava spesso. Ero con Lucariello e con Raio sulla salita del centro Paradiso. Gli dissi “lo so fare anch’io” e mi rispose ridendo “Coglione, scendi se lo sai fare con questo”, e si fece dare un limone da Carmando. Inizio a palleggiare con quello e mi arresi subito. “Diego, scherzavo!”. Era un tipo giocherellone e stabiliva confidenza con tutti, sapeva stare con i giornalisti: aveva un rapporto particolare con noi.

Esposito: Non tutti sanno però che quando sfidò Bianchi a chi faceva più palleggi con un limone poi perse! D’altronde, non ha una forma perfettamente rotonda, sembra più un pallone da rugby. E Diego era il mago degli oggetti rotondi. A Pinzolo invece disse a Garella di sistemare le sagome della barriera perché gli avrebbe segnato dieci punizioni di fila: arrivò a 11. Per non parlare del fatto che calciava da dietro alla porta e segnava, come un giocatore di biliardo che fa il colpo parabolato all’indietro.

Lucariello: Fece fare una pessima figura al giocoliere del circo Orfei. Il pubblico sapeva che era ad assistere allo spettacolo e lo acclamò a gran voce in pista. Volevano vedere lui. Così si fece dare un pallone e palleggiava con ogni parte del corpo. Portava il pallone in equilibrio sulla testa e camminava, come faceva a Soccavo da una porta all’altra.

Maradona, l’amico
raccontata da Mimmo Malfitano

Ero al San Paolo, era un martedì. In quel periodo conducevo Il buco nella rete su Telelibera 63. Quella sera avrei dovuto avere ospite un giocatore del Napoli che non partecipò all’allenamento colpito da un attacco febbrile. Andai in panico perché avevamo puntato tutto su di lui per la puntata di quella settimana. Ero all’esterno dello spogliatoio, erano già andati via tutti i giocatori ed esce Diego. Ci salutiamo, mi dice che era l’ultimo. Io gli dissi del mio problema e lui mi rispose “E che fa, vengo io”. Pensavo volesse scherzare, ma divenne serio. “E quindi? Dove devo venire?”. Gli diedi incredulo l’indirizzo degli studi. Pensavo che alla fine non si sarebbe presentato ma un quarto d’ora prima della trasmissione arrivò sorridente e contento. In genere durava un’ora e mezza, ma quella volta grazie anche alla comprensione dell’editore, il dottor Nando Rocco che ricordo con grandissimo piacere, dette l’ok per proseguire senza badare più all’orologio. Così andammo avanti un’ora in più e alla fine rifiutò il suo gettone.

Soddisfazioni professionali
raccontata da Franco Rasulo

Molti pensano che l’acronimo MA-GI-CA sia nato con Careca, ma in realtà è con Carnevale. Il titolo fu fatto dopo una partita con l’Ascoli in cui andarono in gol tutti e tre. Il lunedì i giocatori sparivano nel giorno libero ed era un po’ più complicato per i giornali, in cui si facevano più freddi. Avevano segnato per la prima volta e giocai sull’acronimo. L’allora caporedattore Giavazzi fece questo titolo sul mio pezzo: “Napoli, questa è la formula MA-GI-CA”. La cosa andò avanti negli anni, quando poi venne Careca.

Nel 1988 si parlava molto della dipendenza di Maradona della cocaina ma non si diceva apertamente. Approfittando di una pausa, andò a Merano dal dottor Henri Chenot per disintossicarsi. Stette dieci giorni rinchiuso in quella clinica a mangiare soia e cose simili. L’unica intervista che rilasciò fu a me, mi scelse per risultare credibile perché gli garantivo l’imparzialità in un senso e nell’altro. Fu una grande soddisfazione personale. Era molto intelligente e sensibile, non aveva studiato ma era profondo.

Da Londra a Tokyo, il mondo ai piedi di Diego
raccontata da Franco Esposito e Gianfranco Lucariello

Esposito: Ci fu un’amichevole tra Argentina e Inghilterra a Wembley nel 1979. I giornali erano ricchi e noi fummo mandati a seguire questa partita al seguito del ct Bearzot, perché gli inglesi erano stati sorteggiati nel girone dell’Italia all’Europeo dell’anno successivo. La partita era di una noia mortale. Ma lo stadio gremito esplose in un boato quando su un rinvio di Fillol, stoppò un pallone e senza farlo cadere a terra mandò in porta Kempes, che poi sbagliò. Gli bastò un’apertura, che non divenne nemmeno un assist.

Lucariello: Moggi organizzò un’amichevole a Tokyo con la nazionale del posto, fu una trovata per valorizzare il calcio giapponese che diventava professionistico. Fu una settimana incredibile a causa del fuso orario. La sera di quella partita lo stadio Olimpico della città era pieno, 80 mila persone. La luce inquadrava l’ingresso degli spogliatoi, il primo a uscire fu Careca e cominciammo a fare congetture. Associammo quest’assenza momentanea al fatto che ci fossero problemi per l’ingaggio, perché Maradona veniva pagato a parte. Poi entrò, salì per ultimo da una scaletta, da grande capitano: si alzarono 80 mila persone insieme contemporaneamente, sincronizzati e l’hanno applaudito per cinque minuti. Un’intensità straordinaria. Ci fu un ricevimento dopo e davanti a Diego si inchinavano tutti con la testa quasi fino a terra.

Il libero inedito
raccontata da Mimmo Malfitano

Si organizzò una partita con Maradona e il suo clan (tutta gente che giocava tra Serie B e Serie D) contro la squadra dei giornalisti al San Paolo. Giocavo centravanti e Maradona invece faceva il libero, con la regola di non poter superare la sua metà campo. Gianfranco Lucariello negli spogliatoi mi disse “vagli sotto e menalo”. Era novembre, il giorno dopo una partita con l’Ascoli. Mi misi a ridere. “Menarlo? Il problema è già prenderlo. E poi come si fa a menare Diego”. In campo fu simpaticissimo. Quella partita la perdemmo 7-1, segnai l’unico gol e Diego venne a darmi il cinque.

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