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Perché Pirlo viene risparmiato dalla critica mentre Sarri ne era sommerso

Ha portamento nobile e poca esperienza. Lo stile operaio di Sarri non è mai piaciuto e l’ambiente pretendeva il bel gioco da lui

Un anno fa, la Juventus era in testa alla classifica dopo nove giornate, da imbattuta. Aveva vinto sette volte, pareggiando due partite. Ma Maurizio Sarri veniva sommerso di critiche. Gli spunti, in un ambiente del genere, non mancano mai. La ricerca continua della perfezione permette di trovare un modello di riferimento da eguagliare sempre più alto: presente o passato, nazionale o internazionale, tecnico-tattico o di risultati. E nel momento in cui sul piano calcistico si è irreprensibili, si passa agli aspetti personali.

Un trattamento simile è comprensibile. Il club che ingaggia Sarri è all’apice dell’ossessione per la svolta europeista. Vuole vincere la Champions League a tutti i costi e ha maturato una convinzione: per farlo occorre un gioco codificato, divertente ed efficace, alla stregua di Liverpool e Bayern Monaco. Quello che il tecnico era riuscito a dare al Napoli che così vicino era arrivato allo scudetto e che Allegri non era stato in grado di trasmettere. L’anno a Londra l’aveva legittimato al di là dei confini con la vittoria di un’Europa League dominata dall’inizio alla fine. Non sarebbe stato facile farlo accettare per il suo stile, troppo operaio lì dove anche la presenza è una prerogativa inscindibile nella filosofia societaria. Ma i risultati avrebbero aggiustato tutto, era una scommessa che valeva la pena fare.

Sarri ha vinto lo scudetto, ma ha ottenuto meno del predecessore e di quanto la società si attendesse. È stato esonerato perché è stato eliminato in Champions dal Lione, di certo meno attrezzato e di conseguenza la squadra non ha compiuto quel passo in avanti che avrebbe dovuto. È in questo che risiede la differenza con Andrea Pirlo, che invece non ha alcuna referenza. Per un verso, non sarebbe nemmeno giusto che la stampa gli riservi lo stesso trattamento: i suoi principi di gioco non sono diventati un neologismo, non ha sfiorato un’impresa storica, non ha vinto un trofeo europeo. E da un punto di vista comunicativo non si è mai lasciato andare a dichiarazioni che ne hanno caratterizzato il personaggio. Anzi, fu montata addirittura una campagna social dalla Juve sul fatto che non cambiasse mai espressione, quando giocava.

Da tempo, i vertici della Juventus cercano di proiettarsi nel calcio degli anni Venti, di tagliare il cordone che li lega a Conte e Allegri. Provano a riuscirci facendo scelte drastiche in panchina, ma non con i calciatori. Restano legati a tutti i senatori dello spogliatoio, in controtendenza a quanto fatto negli anni passati con Del Piero ad esempio. Buffon potrebbe addirittura rinnovare il proprio contratto, se fisicamente resta integro. Cosa che invece potrebbe essere meno probabile per Chiellini, che altrimenti sarebbe rimasto senza margine di dubbio. Quindi, si è passati dall’allenatore risultatista a quello giochista. Che però non ha avuto presa sui calciatori.

Agnelli si è lasciato guidare da questa necessità e ha scelto Pirlo. Campione universalmente riconosciuto, un maestro, diversi giocatori sono stati prima suoi compagni di squadra. Poi ha quel portamento nobiliare che piace tanto a Torino. Altro che mozziconi di sigarette e parolacce (e primato in classifica). Sul campo la Juve ha sperato che andasse come con Zidane al Real Madrid, era questo il piano originario: Pirlo avrebbe rimpiazzato Sarri al momento opportuno, ma avrebbe dovuto guidare prima l’Under 23. Poi l’eliminazione troppo cocente col Lione ha accelerato tutto, anche perché prendere un allenatore per una sola stagione sarebbe stato uno smacco per il blasone.

Alla narrazione a cui stiamo assistendo, manca la giusta dimensione da dare alle attenuanti del caso. L’inesperienza, un campionato dai ritmi anomali, l’imprevedibilità delle indisponibilità. Tante e importanti, che sono capaci di oscurare difetti strutturali e responsabilità che vanno oltre la panchina. E che, a volte, sono in grado di mettere in secondo piano i veri successi.

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