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La gestione del servizio sanitario nazionale torni centralizzata

Col tempo, la riforma ha mostrato limiti che il Covid ha reso evidenti. Trovo eccessivamente creativo che in diverse regioni ci siano terapie differenti

La gestione del servizio sanitario nazionale torni centralizzata

Si chiama Sistema Sanitario Nazionale, ma in realtà significa una cosa diversa in ognuna delle venti regioni dello stivale. Ognuna di esse, come sappiamo, è responsabile della gestione della Sanità sul proprio territorio. Una responsabilità importante, perché intorno al pianeta salute gira moltissimo denaro. Un regalo che le regioni ebbero in seguito alla modifica del titolo V della costituzione, quasi 20 anni fa http://www.governo.it/it/costituzione-italiana/parte-seconda-ordinamento-della-repubblica/titolo-v-le-regionile-province-e-i

La riforma fu partorita e poi votata verso la fine della XIII legislatura, durante il governo Amato, e fu fortemente voluta dal centrosinistra. In questo modo si pensava di sottrarre a Bossi la bandiera di unico paladino della grande battaglia per il federalismo. Probabilmente però, fu una manovra attraverso la quale un centrosinistra agonizzante e in piena emorragia di consensi, consegnava alle realtà locali, dove sapeva di potere prevalere in molte regioni, una bella fetta di autonomia, presagendo la disfatta elettorale che avrebbe portato Berlusconi a governare in maniera quasi ininterrotta dal 2001 al 2011. Ma naturalmente, essendo una riforma costituzionale, aveva bisogno di una maggioranza qualificata per essere approvata, e per l’occasione il centrodestra, che pure sapeva di essere assolutamente favorito in molte regioni del Nord, non fece mancare il suo indispensabile supporto. Credo sia legittimo affermare che lungi dal generare l’auspicato decentramento gestionale e la semplificazione delle nostre vite, la riforma ha mostrato nel tempo tutti i suoi limiti, provocando in molte occasioni conflitti legislativi e amministrativi tra il governo centrale e quello locale.

Sicuramente la problematica gestione della Sanità in questi ultimi anni, nella quasi totalità delle regioni, è l’emblema di questo fallimentare esperimento di modifica costituzionale. A voler sintetizzare possiamo sottolineare due estremi, con un milione di sfumature per lo mezzo.  Il sistema Lombardo, in cui le risorse per la sanità pubblica sono state progressivamente tagliate a favore della promozione di una serie infinita di quelli che si definiscono “Istituti Accreditati”, e quello centro-meridionale in generale, in cui viceversa il denaro pubblico destinato alla sanità è stato negli anni sperperato in una serie di iniziative clientelari omnidirezionali, che hanno portato al malfunzionamento sia del pubblico che del privato, provocando poi buchi di bilancio paurosi, che hanno richiesto prima il ripianamento da parte del governo centrale, e poi il commissariamento in molte regioni. La Regione Campania solo da un anno è fuori dalla gestione commissariale.

Poi però è arrivato COVID 19, e molte criticità sono emerse. In questo senso rimane indicativo il recente contrasto tra il Governatore De Luca, che a mio giudizio ha ragione da vendere in questo caso, e non si capisce quale Ministero Romano, circa l’opportunità di permettere ai genitori di passeggiare con i figli. La domanda banale da farsi sarebbe “a chi deve ubbidire un cittadino Campano, al Governatore o al Ministro del caso?”. Ma naturalmente questa situazione è frutto della triste contingenza, dalla quale speriamo tutti di uscire presto. Ma se è vero che ogni fallimento nasconde un’opportunità, quali sono le reali ragioni che dovrebbero indurre chi ci governa a una totale controriforma, se non di tutto il titolo V almeno della parte che riguarda la gestione della salute? Io sommessamente individuo quattro motivi fondamentali.

  1. Un motivo di tipo regolamentare. Trovo preoccupante che un governo regionale, su un argomento delicato come la salute, possa favorire attraverso appalti o leggi locali, la clientela di turno onde ricavarne un vantaggio elettorale, tanto più diretto e tangibile quanto ristretto è il territorio. Una gestione centrale, che comunque dovrebbe inevitabilmente avere dei riferimenti sul territorio, potrebbe essere controllata molto più facilmente sulla base di pochi criteri di trasparenza e uniformità.
  2. Un motivo di tipo economico. Ci si chiede spesso come mai quello che a Padova costa 5 € a Messina ne costi 10 (o viceversa ovviamente). Un’unica gara nazionale per le migliaia di voci diverse sicuramente otterrebbe prezzi migliori, visti i quantitativi, e sarebbe garanzia di qualità.
  3. Un motivo di tipo etico. Ecco, questo forse è l’aspetto più importante. Io trovo odioso che a parità di capacità professionali, perché al sud ci sono medici eccellenti, gli standard di cura di un ospedale di Catanzaro non possano essere uguali a quelli offerti da un ospedale di Trento. Non solo, a questo si aggiunga che per molte patologie, chi va a curarsi in una regione che non è la sua, attraverso un complicato sistema di rimborsi, provoca un arricchimento della regione che riceve il paziente, e un impoverimento di quella che lo perde. In una Nazione moderna ed efficiente bisogna garantire che indipendentemente dalla latitudine lo standard sia identico.
  4. Un motivo di tipo organizzativo. E questo purtroppo ce l’ha insegnato COVID 19. Al di là della tragedia in atto, francamente trovo eccessivamente “creativo”, per usare un eufemismo, che mentre in Veneto si fanno tamponi a tutti, in Lombardia si ricoverano tutti in ospedale, mentre a Napoli fanno tutti il Tocilizumab e contemporaneamente nel Lazio partono invece con l’Avigan.

Perché poi alla fine dobbiamo tutti ricordarci una cosa fondamentale. Il nostro SSN che comunque resta un importante esempio di democrazia e di giustizia sociale (io non vorrei mai ammalarmi negli USA), sebbene conceda cure gratuite a tutti, ha un costo, anche molto elevato. E questo costo è pagato dalle tasse che tutti noi versiamo.

Mario Musella
Professore Ordinario di Chirurgia Generale
Università degli Studi di Napoli “Federico II”

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