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II parroco: «Non avevo dubbi sull’accoglienza di Nerano, vado oltre i commenti razzisti»

Don Michele di Martino sullo sbarco di sedici migranti nella baia di Nerano: «Li hanno accolti e aiutati senza la mia presenza. Nerano è già multietnica»

II parroco: «Non avevo dubbi sull’accoglienza di Nerano, vado oltre i commenti razzisti»
La vicenda dello sbarco di ieri sera dei 16 migranti nella Baia di Nerano – Marina del Cantone –  sta accendendo gli animi della comunità locale che vive di turismo e di attività legate ad esso: non solo residenziali ma anche di ristorazione qualitativa. In questo bailamme abbiamo chiesto a Don Michele di Martino parroco di Nerano di Massa Lubrense – e della vicina Termini – di darci la sintesi della “Chiesa del grembiule” locale. Di Martino ha festeggiato da pochi mesi il suo cinquantenario di sacerdozio: è un pimontese che ha svolto la sua attività pastorale soprattutto a Castellammare di Stabia, dove è stato – tra l’altro – anche assistente spirituale di generazioni di universitari cattolici (Fuci).

Don Michele, come ha reagito la sua comunità di fronte allo sbarco dei migranti?
“La comunità di Nerano, che è venuta a contatto immediato con la notizia e poi con i migranti, ha reagito in maniera umana, nobile e cristiana. Alla notizia si sono organizzati dei volenterosi animati da Salvatore Cioffi, grosso di voce e di movimento, ma soprattutto di cuore e sono scesi alla Baia. Una volta arrivati nella piazzetta si sono organizzati per l’accoglienza: cibo e ristoro, chiedendo alla signora Rosa di aprire la salumeria e trovando immediata risposta. Per le necessità fisiologiche, non avendo trovato le chiavi del Centro parrocchiale, Salvatore non ha esitato a portare soprattutto le ragazze a servirsi del bagno della sua dimora. Anche la Protezione civile del Comune di Massa Lubrense ha approntato la Sala delle Sirene della sede comunale per offrire un confortevole luogo per trascorrere la notte, dopo che un Ristorante della Marina del Cantone aveva fornito loro un pasto caldo. Quello che mi dà soddisfazione come parroco: non c’è stato bisogno della mia presenza in loco, perché si approntasse tutto quello che è stato necessario per l’accoglienza. Sono stato informato, ma hanno agito con autonomia, generosità e senso cristiano”.
Cosa pensa delle affermazioni al limite del razzismo che si sono avute su alcuni profili social di abitanti lubrensi alla notizia dello sbarco?
“La tastiera ultimamente mi serve per essere in relazione più facile ed estesa: sono vecchio e abbastanza acciaccato. La tastiera accorcia le distanze. Ma c’è una grande disgrazia quando non si collega cuore e testa, saltando la pancia. Sui commenti razzisti vado oltre. Ne tengo conto, ma credo siano di pancia, per essere buono. Ci vuole tempo perché dal bigottismo si passi alla fede…”

La pastorale delle parrocchie e della Diocesi Sorrento-Castellammare ha una sua pastorale sui migranti ricordando che Gesù Cristo è stato tra i primi migranti della storia?

“A Sorrento nei locali tra l’Episcopio, la Cattedrale, e il Seminario è stata realizzata una residenza per una ventina di migranti. Sono arrivati attraverso i corridoi umanitari concordati con la Comunità di S. Egidio, la Tavola valdese, la Cei e il ministero degli Esteri. In alcune parrocchie della penisola si offre ospitalità a famiglie siriane, nella Cattedrale a Sorrento opera una cooperativa che avvia alla integrazione alcuni giovani africani. La Cps ha progetti di sviluppo e cooperazione in vari stati africani e sudamericani. Tutto questo fa lievitare la pastorale delle parrocchie, sollecitate a sostenere concretamente queste opere. Comunque non bisogna mai dimenticare che il boom di questa pastorale di accoglienza si ebbe nel ‘90 con tutta la vicenda dell’Albania”.

Che cosa può portare alla vostra comunità come lievito di crescita la vicenda di questi fratelli che cercano nuove terre e nuovi cieli?
“Sono da poco a Nerano, 4 anni compiuti in questi giorni. La mia lettura è che si tratta di una comunità multietnica nella sua costituzione: ci sono i neranensi di lunga data, ci sono i sardi di importazione – quando c’erano le cave di pietra -, ci sono gli europei venuti per turismo. Quando – dopo la frana – si scoprì Marina del Cantone, gli ‘europei’ hanno formato famiglie. Ci sono poi campani che innamorati di Nerano qui hanno stabilito la loro residenza; ultimamente ci sono i badanti e le badanti…. Tutto questo io lo chiamo multietnicità. Non e facile, né semplice. Però c’è e si conosce: e si cerca l’amalgama”.

Ritiene che l’alterità sia ancora un valore cogente nel sentire comune dei nostri territori?
“Niente è naturale e spontaneo. Tutto si impara e si assorbe: anche il modello di vita e quello economico. La tentazione forte è quella di sposare il modello economico del profitto che è una mina vagante a cui risponde ancora per fortuna, nella mia parrocchia, una generosità di fondo, in parte naturale, che viene dall’animo della gente di mare; intesa come persone che sono generose e sanno collaborare, e si aiutano. Questo però avviene nel momento e nelle situazioni del bisogno e della precarietà. Quando tutti, nella comunità staremo bene, vivremo ancora l’alterità? Senza Vangelo non credo. Col Vangelo ci credo e perciò lo annunzio non tanto a parole ma stando, per quel che riesco anche a Nerano”.
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