A La Stampa: «Nello spogliatoio siamo in trenta, viviamo insieme. Avevo tutti i sintomi, è cinque volte più pesante di un’influenza»
La Stampa intervista Radovanovic uno dei 19 positivi del Genoa. Racconta quel che è accaduto tra i rossoblù.
Parte da sabato scorso alla vigilia di Napoli-Genoa.
«Ci siamo allenati, Perin non c’era e poi abbiamo saputo che era positivo. Dovevamo partire nel pomeriggio e invece la partenza è stata rimandata alla mattina dopo. Prima abbiamo fatto due cicli di tamponi. A pranzo ero seduto vicino a Schone, abbiamo parlato a lungo in inglese. Poi il giorno dopo è venuto fuori che anche lui era positivo. Siamo partiti per Napoli, siamo rientrati alla sera. E quando sono arrivato a casa ho iniziato a non sentirmi bene. Ma pensavo fosse solo una mia idea, in fondo sapevo che c’erano stati un paio di positivi e allora poteva essere solo un fatto mentale. Invece…».
«Lunedì mattina abbiamo fatto i tamponi e i test sierologici, poi la febbre ha iniziato a salire. Avevo tutti i sintomi: mal di testa, tosse, mal di gola. I test non hanno evidenziato nulla, alla sera mi ha chiamato il dottore e mi ha detto che ero positivo. Che lo erano anche altri miei compagni e lui stesso».
«Ero un po’ preoccupato. Si tratta di un virus nuovo e non sai come potrà reagire il tuo corpo. Ho avuto l’influenza ma questo non è paragonabile, è cinque volte più pesante. Sono un atleta ma mi sono trovato a pezzi».
«Il virus colpisce tutti, siamo uomini come tutti gli altri e non dei privilegiati. I soldi o la fama non c’entrano. Quando ci cambiamo nello spogliatoio siamo in trenta, viviamo insieme buona parte della giornata e quindi rischiamo come in qualunque luogo di lavoro. Siamo molto controllati, è vero. Ma il rischio esiste e noi siamo stati sfortunati. Probabilmente abbiamo pagato il viaggio per Napoli, tra pullman, aereo e hotel».
A Napoli il crollo nella ripresa «può essere stato un crollo fisico, con il virus che iniziava a entrare in circolo: nessuno lo sa».
«È stato giusto rinviare Genoa-Torino, c’era poco da discutere. È prima di tutto un problema di salute, nostro e degli avversari»