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Il mistero Gasperini, l’allenatore “geniale” che non ha mercato

La borsa delle panchine d’elite lo considera un fuoriquota. Ma non ha bisogno che una “grande” squadra lo liberi dalla provincia. La sua Atalanta è un top club

Il mistero Gasperini, l’allenatore “geniale” che non ha mercato
Gasperini (Photo Hermann)

L’Atalanta è diventata la Juve, o l’Inter, o il Napoli. O qualsiasi altra squadra che oggi le griglie si intestardiscano a mettere in corsa per lo scudetto, e che una volta avremmo chiamato “grandi”. Oggi le diciamo “top”. Che poi è anche un complimento che i giovani si rivolgono vicendevolmente con una certa disinvoltura: “top!”, “sei top”. Ecco, l’Atalanta è top.

Non è una cosa scontata oggigiorno. Non in Italia. Quando lo studio piazza la domanda “scudetto” si ritraggono ancora tutti, allontanano il microfono, s’imbarazzano, sorridono e svicolano coi giri di parole mandati a memoria in mille ore di aggiornamento professionale: mai dire nulla di vagamente interessante, un giorno potrebbe ritorcersi contro.

L’Atalanta però è sulla bocca e sulle tastiere di tutti, non c’è modo di uscirne. E’ una grande squadra. Lotta per lo scudetto, pure se Gasperini incespica nel sostantivo come Fonzie quando non riusciva ad ammettere di aver sbagliato. Ha chiuso la scorsa stagione sfiorando il colpaccio in Italia, e la semifinale Champions per una questione di barricate sfondate sul più bello, quando il PSG si prese i minuti di recupero per rovinare favola e pezzi già mandati in stampa. E poi ha ricominciato come nulla fosse: quattro gol a Torino, e quattro a Roma con la Lazio.

Ora, per giunta, ha pure portato avanti un inedito mercato di stabilizzazione: tranne Castagne sono rimasti tutti i pezzi grossi, che fino all’anno scorso venivano invece lasciati andare (con parsimonia, a lento rilascio) privilegiando la solidità dei conti. Un indizio di consapevolezza.

Ma soprattutto è rimasto lui: Gasperini.

Nessuno ha accennato un moto di sorpresa, non s’è sprecato un rigo sul mistero del genio italiano senza mercato. Non una voce, un rumor, una “sirena” dall’estero. Niente. Eppure un accenno a una trattativa, un interessamento malizioso, non si negano a nessuno. Per Gasperini no. Il miglior allenatore italiano a detta dei suoi colleghi – il vincitore della Panchina d’Oro – il quinto miglior tecnico d’Europa davanti a gente come Zidane, Guardiola, e Conte.

E’ come se la borsa delle panchine d’elite lo tenesse in disparte. Un fuoriquota. Troppo bella la sua Atalanta per essere vera, tanto da non garantirgli una considerazione solida. Gasperini e l’Atalanta sono simbiotici, sono un brand. E come tale vengono percepiti, pur nell’apprezzamento generale. Non ci sarà altro dio all’infuori di Gasp, a Bergamo. Lo sa lui, lo sa la famiglia Percassi. E lo sanno evidentemente tutti gli altri.

Il pacchetto spettacolo però non è episodico, ha acquisito una continuità che disarma anche gli analisti più disattenti. Le prime due giornate di campionato hanno riattaccato il discorso interrotto ad agosto con la stessa lucida follia. E hanno rimesso in moto il meccanismo dell’esaltazione: il fenomeno Atalanta, uguale a se stesso, con le goleade e le interviste al tecnico piacione nei post-match. Fatichiamo a farcene una ragione. Ragioniamo ancora in termini di provincia e città, quando quello – Gasperini – ha passato un’estate a sbatterci in faccia l’idea snobissima che l’Atalanta si sente provincia d’Europa, l’Italia le sta quasi stretta. Tra l’altro, qual è il parametro che definisce la subalternità dell’hinterland quando Percassi è una specie di emiro industriale che poco ha da invidiare ad altri imperi economici meglio narrati? La grammatica del calcio non s’è aggiornata alla geografia del potere economico.

Mentre prendiamo coscienza che l’Atalanta è top, il mercato aveva già registrato il concetto. Gasperini non ha mica bisogno di una “grande” che lo liberi della sua dimensione di sobborgo del calcio. E’ già grande, e allena una grande squadra. Che si gioca lo scudetto con la Juve e l’Inter (e il Napoli, se ancora valgono a qualcosa le illusioni), e si agita nel sottobosco delle outsider Champions: non è il Bayern, o il Real o il Liverpool, ma insomma è lì che ci gira attorno, si fa notare con una personalità unica. Il marchio Gasperini, appunto.

La consacrazione sta nell’essere considerato poco avvicinabile, anche. Nel farsi un blasone tutto suo. Nell’andare in tv fingendo di arrossire, per reggere il comodo ruolo dell’underdog. E’ un lusso che Gasperini potrà permettersi ancora per poco, se continua così.

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