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Crisanti: «Il 95% dei potenzialmente infetti circola liberamente. E’ la Caporetto del contact tracing»

A La Stampa: «L’unica possibilità è diminuire i contatti interpersonali e procedere con la chiusura delle attività non essenziali. L’innalzamento dell’età dei contagi è inevitabile, così come l’aumento dei ricoveri e dei morti» 

Crisanti: «Il 95% dei potenzialmente infetti circola liberamente. E’ la Caporetto del contact tracing»

Su La Stampa un’intervista ad Andrea Crisanti, microbiologo dell’Imperial College di Londra ed ex consigliere di Luca Zaia, governatore del Veneto. Giudica disastrosi i dati dei contagi degli ultimi giorni e dice che per il contact tracing l’Italia è già in ritardo. L’unica soluzione sono le chiusure, altrimenti il virus passerà dai giovani ai più anziani e aumenteranno i decessi.

«Per ogni nuovo contagiato è necessario identificare in media tra le 15 e le 20 persone con le quali è venuto a stretto contatto. Con oltre settemila nuovi casi di positività dovremmo rintracciare e mettere in isolamento domiciliare 140 mila persone. Invece leggo che nelle ultime 24 ore ne sono finite in quarantena appena 1.300. Vuol dire che il 95% di quelle persone potenzialmente infette circola liberamente per il Paese. E’ la Caporetto della prima linea difensiva, il contact tracing».

Ormai l’aumento dei casi è inarrestabile, se non con misure più drastiche.

«Ormai l’aumento dei casi non lo fermiamo più né con il contact tracing e nemmeno con quello che chiamiamo “network testing”. Tanto per capire, il metodo che abbiamo utilizzato a Vo’ Euganeo o al Senato, testando un’intera comunità a rischio di contagio. Da spendere abbiamo solo le misure di contenimento dei contatti sociali. Diminuire i contatti interpersonali come già si cerca di fare, per poi passare via via alla chiusura delle attività meno essenziali e, se si rendesse necessario, alle altre. Altrimenti bisognerà girare quello che gli inglesi chiamano l’interruttore di trasmissione: ci fermiamo tutti per due tre settimane».

L’effetto delle misure varate dal governo si vedrà tra un paio di settimane. La soluzione giusta sarebbe stata quella proposta a suo tempo, dichiara, ovvero il piano da 300 mila tamponi al giorno.

«Con 40 milioni di investimento potremmo acquistare i macchinari capaci di processare più tamponi in meno tempo e con minor uso di reagenti, come abbiamo fatto a Padova. Il costo a regime sarebbe di due milioni al giorno. Con il modo che abbiamo oggi di eseguire i test stiamo spendendo di più».

L’Italia avrebbe dovuto aumentare il numero dei tamponi, ribadisce.

«Quelli veri, non questi rapidi che hanno ancora una sensibilità bassa e non vanno bene in situazioni come quelle di una classe dove ci sia un positivo ed è necessario invece testare tutti con il tradizionale tampone molecolare. Quelli rapidi funzionano per gli screening, che sono un’altra cosa. Tipo: testo tutta una scuola per capire se e quanto virus vi circoli».

Il nostro Paese non ha capito che era in una posizione privilegiata rispetto a Francia e Spagna. Mentre lì la curva dei contagi subiva un’impennata, da noi c’erano al massimo mille casi al giorno.

«Il punto non è che il virus fosse meno aggressivo, come ha raccontato qualcuno, è solo che con quei numeri riuscivamo a isolare i focolai e a testare intere comunità dove sapevamo che il virus circolava. Ci siamo illusi. Poi, con la ripresa di scuole e attività produttive, abbiamo scoperto, in ritardo, che il nostro potenziale di fuoco dei test era insufficiente a intercettare il virus».

Ormai è tardi, conclude.

«L’innalzamento dell’età media dei contagi è inevitabile. Così come lo è l’aumento dei ricoveri e purtroppo dei morti».

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