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Basta staffette e retorica della sofferenza, Osimhen e Mertens non possono non giocare insieme

È l’unica soluzione per uscire dal torpore del 4-3-3. “Li abbiamo stancati” is the new “fa più male quando entra a partita in corso”

Basta staffette e retorica della sofferenza, Osimhen e Mertens non possono non giocare insieme

C’è sempre un “ma”, quando non vorresti condizioni. Un “però”, un distinguo. Un argine alle emozioni. “Osimhen è un valore aggiunto MA devo stare attento agli equilibri”, ha detto Gattuso a rintuzzare quella frustata d’euforia che correva il rischio di rovinare la morale di Parma-Napoli: “Dobbiamo imparare a soffrire”.

Nella grammatica della sofferenza che il tecnico recita come una bibbia, l’idea che una soluzione al torpore tattico spunti all’improvviso grazie all’ingresso in campo di un solo giocatore – peraltro il grande acquisto stagionale che come tale andrebbe goduto – è sconveniente. Lede il principio per cui l’allenatore ha tutto sotto controllo per definizione, e che poco o nulla possa decidersi sull’onda del caso. La scossa è studiata o non è. Pertanto Gattuso rimbrotta:

“Nell’ultima mezzora abbiamo giocato così perché prima li abbiamo stancati. Sapevamo che negli ultimi 35 minuti avremmo avuto possibilità in più”.

Ascoltiamo, prendiamo appunti, rimoduliamo l’espressione da sognante a morigeratamente sorridente. Ma non ci arrendiamo, anzi rilanciamo con un appello: Falli giocare! Se non tutti e quattro, almeno quei due, Mertens e Osimehn. Assieme, l’uno a far l’elastico per l’altro, prima e seconda punta come usava quando i ruoli erano ruoli e non “principi di gioco” e il 4-4-2 non era una bestemmia reazionaria. Basta staffette, per favore.

Formuliamo meglio. Al 62′ di una partita divertente come le lezioni di algebra in tv in una notte insonne, entra in campo Osimehn ed esce Demme. E’ una scintilla. Mertens all’improvviso ha una spalla con cui dialogare in area, la presenza del nigeriano – come ha spiegato benissimo Alfonso Fasano – lo ha “liberato”.

“Mentre Insigne è rimasto orfano di Callejon e dei suoi tagli, il belga sembra aver trovato un nuovo compagno di giochi e divertimento. Victor cambia completamente anche lui, non solo la partita”, scrive nelle pagelle Ilaria Puglia.

E’ un’evidenza, un dato di fatto. Per una lettura puntuale dei meccanismi che innescano il gioco della squadra rimandiamo all’analisi di Fasano. Qui, molto più modestamente, ci alziamo dal divano e preghiamo che il trattenersi per principio, la paura di uscire dalle mattonelle confortevoli del 4-3-3 e del palleggio senza sbocchi, non diventi un limite. Anche caratteriale, sì.

Mertens-Osimhen è la continuazione con altri mezzi del progetto Milik-Lozano dell’abiurato Ancelotti. Il che non vuol dire scomodare von Clausewitz per nostalgia e difesa di un’avventura rinfacciata “all’Evertonista” un commento ogni due. Significa solo prendere atto d’un suggerimento del campo: quei due, con Insigne a sinistra e Lozano a destra, funzionano. Si affilano a vicenda come due arrotini. E non perché la precedente ora di non-gioco sterile abbia infiacchito gli avversari, cuocendoli a puntino. Ma perché il tandem d’attacco riempie l’area con una soluzione in più, grazie ad un giocatore con caratteristiche inedite anche per Mertens. E’ come se Osimehn avesse regalato uno spunto in più pure al belga, ormai assuefatto ai movimenti sempre uguali di Insigne a sinistra. Un nuovo compagno di giochi, appunto.

“Abbiamo potuto giocare così perché li abbiamo stancati prima” è la traslitterazione del vecchio tormentone “non gioca titolare perché quando entra a partita in corso fa più male”. Un tranello sintattico e concettuale che Mertens conosce molto bene. La staffetta è stata la dannazione della sua carriera, dalle infinite panchine dietro Insigne, all’alternanza con ogni centravanti che è passato per Napoli negli ultimi anni. Ora che porta in dote il record di gol della storia del Napoli, e un rinnovo contrattuale da grande campione, Mertens non ha più intenzione di subire l’angheria tattica. Ed è un sottotesto rintracciabile anche nelle interviste post-Parma:

“È vero che abbiamo comprato un ragazzo che può fare la differenza, ma abbiamo tanti in panchina che possono fare la differenza”.

Un po’ come a dire – ma magari pecchiamo noi di malizia – “qua l’unico che fa la differenza sono io, e da parecchi anni ormai”. Quindi staffette no. Staffette mai più.

E torniamo al MA di partenza: “devo stare attento agli equilibri”. Anche la Gazzetta dello Sport è d’accordo:

“Il Napoli non può ancora permettersi di mandare in campo contemporaneamente quattro attaccanti. Finché si tratta di mezz’oretta, va bene, ma di più sarebbe un rischio. Quattro punte le utilizzò il Brasile al Mondiale del 1970, ma in quella Seleçao c’erano Jairzinho, Tostao, Pelé e Rivelino, più Gerson a dettare i tempi. Evitiamo i paragoni e non facciamoci incantare dalle sirene”.

Ma non è detto che non si possa lavorare sugli uomini più che sacrificare il sistema di gioco: potrebbe star fuori Lozano, o – la buttiamo lì – ogni tanto Insigne. Quello che Corbo chiama l’ “arruginito 4-3-3 dei 91 punti”, venduto a gennaio come tratto distintivo del nuovo corso post-Ancelotti, ha palesato tutti i suoi limiti anche nel finale di stagione. I primi 60 minuti di Parma-Napoli non sono mica una novità. Solo che ora c’è Osimehn, e – tocca autocitarci ancora – “non possiamo non dirci osimheniani”. Non possono dirlo, ma non possono non dirsi tali anche Mertens e Gattuso. Non può il Napoli, proprio.

Bisogna stare attenti agli equilibri, certo. E stancare gli avversari prima di rischiare, va bene. Ma non si può rinunciare a Mertens-Osimehn. A meno che non sia anche questo un modo per “imparare a soffrire”.

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