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L’Atalanta, il capitale umano di Percassi: “Se parli troppo coi calciatori gli rompi le palle”

El Pais ha intervistato Antonio Percassi, il patron del miracolo: “Siamo provinciali, ma grazie ai giovani e Gasperini abbiamo fatto la rivoluzione”

L’Atalanta, il capitale umano di Percassi: “Se parli troppo coi calciatori gli rompi le palle”

Il capitale umano, l’aveva chiamato così Virzì il suo film sulla ricca provincia lombarda, i suoi vizi e i suoi tic. Antonio Percassi ne parla continuamente senza citarlo: il fattore umano, la provincia, i giovani, la crescita. L’Atalanta, da provincia del calcio a star internazionale, che stasera si gioca il primo turno della fase finale di Champions contro il PSG. El Pais è riuscito a intervistare il patron, l’uomo che per sua ammissione “non concede mai interviste” perché “chi gestisce il club è mio figlio Luca”.

Il quotidiano spagnolo descrive il 67enne come un “patriarca di una lunga serie di uomini d’affari locali è il principale responsabile della rivoluzione più sorprendente nel calcio europeo degli ultimi anni”.

“Abbiamo sempre posto l’accento sullo sviluppo dei settori giovanili; sono le nostre fondamenta”. Lui stesso ha giocato nella prima squadra dell’Atalanta da centrale, prima di ritirarsi nel 1978 per intraprendere una carriera imprenditoriale che lo ha portato a collegare il business immobiliare con l’industria della moda attraverso collaborazioni con Luciano Benetton o Ralph Lauren.

“La cosa più importante sono i buoni scout. Poi servono allenatori, struttura. Siamo un club di provincia. Questa è la nostra storia. Io e mio figlio siamo stati calciatori dell’Atalanta. Sappiamo meglio di chiunque altro quanto siano importanti in un club come il nostro le giovanili”.

El Pais sottolinea “la contraddizione evidente” di una squadra titolare che ha battuto il Valencia al Mestalla a marzo, con solo il portiere, Sportiello, e un difensore centrale, Caldara, provenienti dalla “cantera”. Il resto stranieri acquisiti al mercato. Con “prezzi inauditi rispetto a quanto pagato dalle rivali a Lisbona: Djimsiti (libero), Gosens (900.000 euro), Palomino (4,5 milioni di euro) , Freuler (1.9 milioni), De Room (1.3), Hateboer (1.4), Pasalic (in prestito), Ilicic (6) e Papu Gómez (4.5). In totale, 19 milioni di euro”.

“Non possiamo spendere come i grandi club”, dice Percassi. “Possiamo investire solo in un giocatore di un certo tipo; e se spendiamo 15 milioni per un giocatore è perché si presenta un’opportunità, come per Duván Zapata. Ma la legge è tenere i piedi per terra, scommettere sui ragazzi e sui giocatori in proiezione. Per rafforzare la squadra abbiamo venduto giovani e abbiamo investito bene sugli stranieri”.

Con il resto, il club ha acquistato lo stadio. Dalla crisi finanziaria del 2008, nessun grande club europeo è stato in grado di costruire un nuovo stadio e allo stesso tempo sostenere l’evoluzione sportiva della propria squadra, scrive El Pais. L’Atalanta sì.

“Era una vita che pensavamo di farci lo stadio di proprietà. E finalmente quattro anni fa l’abbiamo acquistato dal Comune e abbiamo iniziato a ristrutturarlo. Diventerà una gemma. Tra acquisizione e restauro ci costerà 45-50 milioni. Abbiamo terminato la prima fase. Adesso faremo la parte laterale e l’anno prossimo l’altra curva. In due anni tutto nuovo”.

La differenza con gli altri club, dice Percassi, è la mentalità: “Il vantaggio di essere stato un calciatore professionista è che capisci il calcio. Capisci come funziona uno spogliatoio. Capisci come affrontare i momenti difficili, e questo è importante perché durante un campionato incontri sempre difficoltà. Siamo fortunati a sapere com’è la testa di un giocatore. Abbiamo un buon feeling, ma il nostro rapporto è semplice. Se parlo, lo faccio al momento giusto. Se parli molto ai giocatori gli rompi le palle. L’atmosfera a Zingonia è familiare. Per noi questo ambiente è fondamentale. Siamo un club provinciale. Il trattamento deve essere diretto, semplice, familiare, appassionato, amatoriale. Qui i tifosi capiscono automaticamente se sei qui perché vuoi la società o perché vuoi fare affari”.

E poi c’è Gasperini: “Ha cambiato la nostra mentalità. Il nostro obiettivo è sempre stato quello di salvarci, restare in Serie A. Non sapevo se questo tipo di calcio offensivo proposto dall’allenatore potesse essere sviluppato in una squadra di provincia. Era un rischio. Ora festeggeremo dieci anni in Serie A. Non ci aspettavamo una tale trasformazione. Con un tipo di calcio che è diventato rivoluzionario. Un modello che tutti copiano. Siamo diventati internazionali”.

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