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Ora non facciamo del giovane Giua un nuovo Byron Moreno

Agli esordi può capitare una rigidità isterica. Sono stati tre rigori al limite, non ha arbitrato bene. Ma non serva a coprire la prestazione del Napoli

Ora non facciamo del giovane Giua un nuovo Byron Moreno

A leggere i commenti della nostra critica, ieri sembrava che si stesse giocando un remake di Italia-Corea del Sud dei Mondiali 2002, la partita che per eccellenza è stata indirizzata a proprio piacimento dall’arbitro, l’ecuadoriano Byron Moreno. Alla fine è comprensibile l’equivoco: il Napoli era vestito d’azzurro e il Parma di bianco, proprio come le due nazionali diciotto anni fa. Il direttore di gara è Antonio Giua, l’arbitro più giovane della Serie A, ritenuto inadeguato.

Così, tutti gli spunti di riflessione originati dalle decisioni prese ieri si riducono ad un 4 in pagella, a giudizi lapidari che hanno poco di tecnico ma che sanno soltanto dell’acredine che ci si porta dietro dopo gli errori che già commise in Napoli-Lecce. La sua direzione non è stata ottimale, questo è indubbio. Da tempo la personalità degli esordi nella massima categoria si è trasformata in diverse occasioni in rigidità isterica, un momento della carriera che ha accomunato tantissimi arbitri di cui però oggi ci godiamo promozioni e prestazioni maiuscole, come ad esempio i napoletani Guida e Maresca. Ma crescerà anche lui e probabilmente dimostrerà per tempo di meritare certi contesti.

La sua sfortuna nella gara di ieri è di aver accordato tre rigori su tre casi più o meno al limite, quelli che “se non si danno non è uno scandalo”. Ma non per tutti è così. Perché ci sono elevatissime probabilità che se Giua non avesse concesso il rigore al Napoli ci sarebbero state rivolte, proteste, indignazioni. Le stesse che accompagnavano ogni contatto tra la palla e il braccio di De Ligt attaccato al corpo ad inizio anno, per intenderci.

In questo senso, la sconfitta e i tre rigori sono diventati le circostanze migliori per rivolgere tutti i giudizi negativi nei confronti dell’arbitro, mettendo da parte un’analisi più critica dei singoli episodi, della direzione o – magari – della prestazione approssimativa della squadra, che si è smarrita in un possesso troppo sterile e che non ha saputo capitalizzare le occasioni create durante la gara. Temi e posizioni che obiettivamente sono poco giacobini per il popolo dei social.

Entrando nel tecnico, si può affermare che il primo rigore per il Parma non si doveva fischiare. Il contatto se c’è è troppo debole, Grassi si lascia andare: la dinamica può ingannare e così è successo, ma il rigore è una cosa seria e questo non lo giustifica. Sull’intensità dei contatti il VAR non può intervenire, per cui normalissimo che non ci sia stata on-field review. Il secondo è figlio del nostro tempo, anche se l’attitudine di Grassi è molto al limite: le braccia non hanno una posizione del tutto innaturale ma opporsi così ad un tiro espone molto a questo tipo di rischio.

Il terzo è il più discusso. La malizia di Kulusevski e l’ingenuità di Koulibaly sono evidenti. Il giocatore del Parma comincia il movimento di caduta ben prima di essere effettivamente colpito dal difensore. Lo spostamento insolito a coprire il pallone non può essere contestato: la posizione d’anticipo gli dà tutta la libertà che desidera. A questo punto il discorso si allontana un po’ dall’aspetto tecnico verso quello più concettuale. Se si vuole procedere con regolamento alla mano, il fallo non è in discussione perché il contatto tra i due giocatori c’è e ci sarebbe stato con le stesse conseguenze anche se Kulusevski non l’avesse cercato così tanto. Può far arrabbiare che una condotta così borderline di un avversario sia premiata dall’arbitro, è comprensibile così come lo sarebbe stata la decisione contraria di Giua vista la teatralità dell’attaccante.

Una discussione in cui non è così facile capire quale delle due tesi far prevalere è il segno tangibile che urlare sempre allo scandalo – e cercarlo dove forse non c’è – non è un metodo efficace nell’analisi. Specialmente quella degli episodi arbitrali, che da sempre hanno zone in chiaroscuro che vanno accettate e infervorano la parte che si sente lesa. A maggior ragione, poi, se servono a oscurare le criticità della prestazione della squadra.

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