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La triatleta sudcoreana suicida per gli abusi subiti da medico e allenatore

L’agghiacciante storia è raccontata dal Nyt. La vittima aveva 22 anni, veniva picchiata e penetrata fino a venti volte al giorno. Tormentata anche dai compagni

La triatleta sudcoreana suicida per gli abusi subiti da medico e allenatore

Sul New York Times la storia di una triatleta sudcoreana suicida perché non ne poteva più degli abusi cui era sottoposta dal medico e dall’allenatore della sua stessa squadra. Si tratta di Choi Suk-hyeon, una promettente triatleta 22enne.

Poco dopo la mezzanotte del 26 giugno, ha inviato due messaggi. Uno ad un compagno di squadra, al quale ha chiesto di prendersi cura del suo cane. L’altro, indirizzato a sua madre, era più inquietante. Le diceva quanto la amava e aggiungeva:

“mamma, per favore fai conoscere al mondo i crimini che hanno commesso.”

Poi si è suicidata. Stanca degli abusi fisici e psicologici che era costretta a subire da parte del medico,  dell’allenatore della sua squadra e di due compagni senior. I genitori lo sapevano bene perciò, dopo il suicidio della figlia, hanno pubblicato il diario e alcune registrazioni segrete in cui la giovane atleta aveva documentato anni di abusi fisici e psicologici: si sentivano distintamente le voci degli aguzzini.

Il medico, Ahn Ju-hyeon, che in realtà non è un vero medico – non ha neanche la laurea – non ha commentato.

In Corea del Sud gli abusi sugli atleti non sono così anomali, scrive il NYT. Molte delle vittime sono giovani, vulnerabili e vivono lontano dalle loro famiglie. Vivono insieme in dormitori e saltano regolarmente le lezioni per frequentare gli allenamenti, cosa che non lascia loro grande scelta di carriera al di fuori dello sport. Questo sistema dà agli allenatori un potere eccezionale sugli atleti. In tanti non hanno raccontato gli abusi subiti per paura di rimanere senza un futuro e di essere isolati dai loro compagni di squadra.

La triatleta coreana aveva cercato aiuto, presentato reclami e petizioni alle autorità. Aveva portato il suo caso davanti alla National Human Rights Commission, alla Korea Triathlon Federation, al Korean Sport and Olympic Committee e alla polizia di Gyeongju City, dove aveva sede la squadra. Aveva raccontato che il medico l’aveva schiaffeggiata, penetrata e presa a calci più di 20 volte al giorno, cose documentate dalle sue registrazioni, le aveva anche fratturato una costola. Ha raccontato di non essersi fatta curare per paura di ritorsioni.

Ma, come ha raccontato suo padre,

i funzionari cui ha fatto appello, hanno agito come se alcuni pestaggi e abusi dovessero essere dati per scontati nello sport”.

Le autorità le avevano risposto che le persone che lei accusava negavano e che dunque non c’erano prove per agire, nonostante le registrazioni.

Il padre dell’atleta dichiara:

“Il nostro paese è avanzato molto in altri settori, ma i diritti umani nei nostri sport sono fermi agli anni ’70 e ’80. Chi mi riporterà mia figlia viva?”.

Nel suo diario la Choi si chiedeva se fosse “pazza” o “paranoica”, come la definivano i suoi aguzzini. Le registrazioni sono agghiaccianti. Il NYT ne riporta alcuni stralci. Eppure non sono bastate a renderle giustizia.

Gli abusi sono iniziati quando la Choi, ancora studente di scuola superiore, è stata accolta nella squadra degli adulti. Ha riferito che la maggior parte degli abusi verbali provenivano da un’altra atleta della squadra, una campionessa nazionale, la Jang, che la umiliava continuamente davanti alla squadra, costringendola anche ad inginocchiarsi.

Una volta il suo medico e il suo allenatore l’hanno costretta a mangiare pane fino a farla vomitare e poi ancora e ancora, fino all’alba. Altre volte, invece, le è stato impedito di mangiare per tre giorni per non ingrassare.

Quest’anno, la Choi aveva lasciato Gyeongju per un’altra squadra, e ha iniziato a presentare denunce contro i suoi ex compagni di squadra, allenatore e medico.

Né l’allenatore, né il medico, né la Jang né Kim Do-hwan, un altro atleta accusato di bullismo, hanno rilasciato dichiarazioni.

Soltanto dopo il suo suicidio, diversi ex compagni di squadra si sono fatti avanti per corroborare le sue accuse e raccontare storie analoghe di abusi.

In una conferenza stampa, due suoi ex compagni di squadra hanno raccontato che la squadra era un “regno” governato dall’allenatore Kim e dalla Jang. Le donne hanno raccontato di essere state picchiate e insultate spesso, di essere state toccate nelle parti intime con la scusa di terapie mediche.

Una di loro ha dichiarato:

“Siamo entrate nella squadra di Gyeongju appena uscite dal liceo. Anche se temevamo l’oppressione e la violenza dell’allenatore e del capitano, tutti hanno messo a tacere la questione. Abbiamo pensato che questa fosse la vita che abbiamo dovuto sopportare come atleti”.

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