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Il “difendo la città” di Napoli ha fatto scuola. Da Milano a Roma (ora Firenze): guai a chi rovina il quadro

Qui abbiamo aperto persino lo sportello comunale. Ma il movimento è trasversale: da Appendino a De Bortoli è un unico catenaccio morale. Gli ultras superati dal dibattito culturale

Il “difendo la città” di Napoli ha fatto scuola. Da Milano a Roma (ora Firenze): guai a chi rovina il quadro

La vera livella, di questi tempi, è il campanile. Con un fossato tutt’intorno a difenderne l’onorabilità, e i coccodrilli magari. Siamo tutti uguali, dobbiamo esserlo. E se il metro di paragone è il mal comune, ce ne faremo una ragione. Palude sia, ma tutti dentro. A Napoli, una volta di più, possiamo dirci precursori, atteggiandoci a primatisti della suscettibilità: “difendo la città” l’abbiamo inventato qui, e ora tutti difendono le rispettive città. L’Italia unita da un lungo catenaccio retorico: Roma, Milano, ora Firenze. E Napoli, ovviamente.

I tifosi della Fiorentina hanno appena cazziato Ribery: “Sciaquati la bocca prima di descrivere Firenze come Medellin”, dopo che il calciatore (pur sempre nato a Marsiglia, mica a Bolzano) s’era lamentato sui social che gli avevano svaligiato casa. Ma questa cosa molto “ultras” – di ergersi a paladini di una pretesa territorialità – non è più tale, è uscita dalle curve e dai suoi comunicati sgrammaticati, ha scavalcato il dibattito politico, ed è diventata una corrente unica di pensiero. Una sequela di “adesso basta”, e sbuffi più o meno argomentati.

Il bollettino degli offesi registra una trasversalità del movimento, ogni giorno si alza una mano, un alt: cosa dite, come vi permettete, il rituale della sciacquatura di bocca. A Napoli, si diceva, il famoso coro delle curve un giorno all’improvviso s’è trasformato in uno sportello del Comune di Napoli. De Magistris lo chiamò proprio così, perché il brand fosse riconoscibile a scanso di pudori intimi: “Difendi La Città”, nato per raccogliere “le segnalazioni dei cittadini napoletani relative alle offese contro Napoli, chiedendo attraverso gli uffici comunali interessati precisazioni ed apposita rettifica”, ma anche, “previa attenta valutazione dell’Avvocatura comunale, iniziative legali per tutelare la dignità del territorio, l’immagine e la reputazione della città di Napoli e del popolo partenopeo”.

Da lì in poi, gli ultras sono passati in second’ordine: ai ricchi, come scrivono i tifosi della Fiorentina, si ruba ovunque, da sempre: il mondo è pieno di rapine a mano armata e assalti in villa. Quando in Francia si sorpresero a scoprire una Parigi che svaligiava le case dei calciatori, L’Equipe ci fece la prima pagina. Qui l’assalto milanese a Castillejo è diventato l’ennesima occasione per ribadire a gran voce che i criminali erano trasfertisti napoletani. Intanto però il sindaco di Torino, Chiara Appendino, aveva dettato ai giornali l’indignazione sabauda per le scene di festa senza protocolli dei napoletani per la conquista della Coppa Italia. Beccandosi il carrarmato De Luca – di questi tempi mediaticamente un peso massimo – che aveva avuto gioco facilissimo nel ricordare che a Torino, per una Champions nemmeno vinta, in piazza c’era scappato più di un morto.

Sì, il livello è questo. Ma non solo questo. Non c’è bisogno di ricordare quanto salotti e tinelli romani s’erano impermalositi per La Grande Bellezza di Sorrentino. Jacopo Tondelli già nel 2014 scriveva dei “non romani, sempre sospesi tra la tentazione di cedere alla lusinga della capitale e il dovere “sociale” di disprezzarla pubblicamente”.

Però è freschissimo il manifesto dell’orgoglio meneghino reso da Ferruccio De Bortoli all’Huffingtonpost. Nel quale l’insospettabile ex direttore del Corriere della Sera finisce per infilare, a sorpresa, una perla dietro l’altra. Elevando il tono del fenomeno come fanno solo quelli bravi, trovando il sostantivo tedesco che riassume un intero concetto in una sola parola: “Schadenfreude”, gioia per le disgrazie altrui. “Non è più accettabile. Bisogna reagire. Dire basta”.

“La Lombardia e Milano rappresentano l’Italia che ce la fa nel mondo. Il Paese che riesce a competere nella globalizzazione. Puntare il dito contro di esse, alleggerisce la coscienza di chi non è riuscito a fare altrettanto”.

E così ogni film in uscita, pur lasciando vaghi i riferimenti geografici, scatena uno stuolo di musi lunghi e bronci agonistici. Lo hanno scontato anche i fratelli D’Innocenzo: basta prendersela con la periferia romana, scrive su Esquire un giornalista tutt’altro che banale come Stefano Ciavatta. Ogni supposta critica che non abbia fondamenta molto specifiche, finisce ribaltata sui social. “Non si può più dir niente” non è una generalistica chiusura della rissa, è proprio così: non si può più dir niente.

Per cui, se ti svaligiano casa e ti sfoghi pubblicamente, trenta secondi dopo ti becchi la ramanzina morale di un interlocutore che non avevi previsto: i tifosi della squadra per quale giochi, che ti ricordano col dito puntato che almeno tu sei ricco e puoi permetterti gli allarmi, e hai qualcosa da farti rubare. E che dovrebbero dire quei poveri cristi così poveri che i ladri manco se li filano?

Schadenfreude! verrebbe da rispondere, un po’ a capocchia. La traduzione vale solo per chi ci crede, ma intanto difendiamo aprioristicamente la città dall’altrui critica, piccola o grande che sia, giustificata o meno, generalizzata o puntuale. Il campanile è una livella, giustappunto: ultras in curva, tutti.

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