Due pagine dedicate al lutto tattico dei blaugrana che ha consumato tutti i suoi successori. “Messi sublimava il gioco di squadra. Da solo, non basta”
Il Barcellona è “più di un club”, dice il motto. E non può che essere più che la squadra di Messi. E’ un imperativo filosofico, ancor più che tattico, che da una decina d’anni consuma ogni Barcellona presente nel ricordo del passato. Guardiola non se n’è mai davvero andato. Anzi, l’ha fatto lasciando un vuoto incolmabile.
L’Equipe dedica due pagine alla sindrome da Pep perduto, e scrive: Messi “era già ai vertici sotto Guardiola, ma era circondato dall’armonia tattica. I principi del gioco di posizione catalano sono sciamati nelle teste dei giocatori di tutto il mondo e di tutti i livelli. La gente guardava solo Messi, ma ammirava lo stile di una squadra. L’argentino sublimava una performance collettiva, ma ne era solo la base. Dalla partenza di Guardiola, il Barça non l’ha mai più ritrovato”.
Il quotidiano francese ricorda un episodio: il Barça ha appena vinto la semifinale di Champions League 2019 contro il Liverpool, finalista uscente, 3-0. Ovunque, altrove, un’ondata di entusiasmo avrebbe travolto la squadra. Invece, alcune persone fanno il broncio. “Sono sicuro che la squadra che ha giocato contro il Liverpool non è esattamente quella che piace a Xavi”, dice Joan Vilà. La squadra ha una dipendenza eccessiva da Messi e la gente è preoccupata”.
Per capire cosa sia davvero il Barcellona Joan Vilà è perfetto. È l’inventore del Metodo Barca, della cantera e del suo sviluppo tattico, che deve essere un tutt’uno con quello della prima squadra. E’ il padre del calcio di Xavi, ha trascorso quaranta anni nel club. Non esiste altro posto al mondo nel quale un ex direttore tecnico possa criticare pubblicamente il club e la sua squadra dopo un 3-0 al Liverpool in una semifinale di Champions. Ma al Barca è normale. “L’ideale del gioco è così potente, l’eredità dell’identità così intrisa nei suoi membri che può offuscare la linea sottile tra esigenze estetiche e arroganza”, scrive l’Equipe.
La squadra di discepoli di Johan Cruyff è passata da un “figlio spirituale” all’altro, con la torcia passata nelle mani di Xavi, il fulcro del centrocampo, anzi di più: è l’incarnazione del “Being Barça”, la sfida quasi irraggiungibile ereditata dagli allenatori succeduti a Guardiola. L’Equipe li mette in fila tutti:
Dal povero Tito Vilanova di cui si ricorda l’incredibile sconfitta col Celtic del 7 novembre 2012: la squadra tenne palla per l’89% del tempo, totalizzando 955 assist. Cominciò ad avanzare il timore di un tikitaka improduttivo. Quel Barça, annata 2012-2013, prese 7 nelle due semifinali di Champions dal Bayern Monaco, ma Messi chiuse la stagione con 46 gol nella Liga.
Poi il “Tata” Martino che non era famoso per il bel gioco. “Non è sempre giustificato fare così tanti passaggi per raggiungere la porta avversaria”, disse all’inizio della stagione. Lo “shock” si formalizzò il 21 settembre sul prato del Rayo Vallecano di Paco Jémez: il Barca vince 4-0, ma per la prima volta dopo 316 partite perse nel conto del possesso palla.
Il Tata si ritrovò a dover gestire l’arrivo di Neymar talentuoso e disordinato come pochi. “Il suo Barça perse l’essenza di Cruyff, Rijkaard e Guardiola “, dice Guillem Balagué, biografo di Pep.
Quindi Luis Enrique che arrivò a maggio 2014. Il tridente del Barcellona era composto da Luis Suarez, Neymar e Messi; Xavi aveva 34 anni e Thiago Alcantara e Cesc Fabregas erano stati venduti. Johan Cruyff, proprio lui, commentò così: “Non capisco come il Barça possa giocare con Messi, Neymar e Suarez. Sono tre individualisti. In questo modo, il Barça favorisce le azioni individuali piuttosto che giocare bene a calcio”.
Il baricentro della squadra scivolò lentamente dal centrocampo alla linea offensiva. E non poteva essere altrimenti. Il Barça diventò “la migliore squadra di contropiede in Europa”, secondo Guardiola il cui Bayern venne umiliato (3-0) al Camp Nou in semifinale di Champions League.
Il Barça terminò la sua stagione col triplete. Ma la macchina si era fermata e la stagione 2014-2015 rimarrà come la parentesi incantata del mandato di Luis Enrique.
Poi è storia dei giorni nostri. L’arrivo di Valverde, e Messi diventa tuttofare. La rimozione del modello Guardiola non sembra essere la priorità della squadra del presidente Josep Bartomeu. Valverde rafforza l’area di Sergio Busquets con Rakitic o Paulinho, il che gli fa perdere risorse nello sviluppo dell’azione. La partenza di Andrés Iniesta nell’estate del 2018 non aiuterà. I precetti del gioco di posizione vengono abbandonati, ma Valverde ha una scelta?, si chiede L’Equipe. Nella mancanza di continuità tattica tra Guardiola e Valverde si segna una vera rottura.
Bartomeu allora cerca di tornare alle origini, ma Xavi rifiuta la proposta. Arriva Quique Sétien, autoproclamato tifosi di Johan Cruyff. La riappropriazione di alcuni meccanismi può richiedere del tempo all’interno di un gruppo preso a gennaio. Ora ad un passo dalla ripresa, “Sétien sa che il tempo sta per scadere e che il tempo di Xavi sta arrivando”.