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Ora Libero denuncia la vergogna del sud schiavista

Un’altra gemma del quotidiano di Feltri: i meridionali sfruttati al Nord sono epica, e poi a casa loro hanno il caporalato e nessuno dice nulla

Ora Libero denuncia la vergogna del sud schiavista

Nella redazione di Libero hanno preso male l’estromissione di Via col vento dal catalogo HBO. Il nesso causale col sud schiavista italiano, da quelle parti, è immediato. Sono giorni che la questione meridionale – il suo aggiornamento su quanto da Roma in giù siamo brutte persone, razzisti inconcludenti, pericolosi odiatori del nord – avanza sulle colonne del giornale. E’ un cammino spirituale di contrapposizione narrativa a salvaguardia della Lombardia tanto vituperata di sti tempi. Per cui, dicevamo, ecco l’aggancio: Via col vento, i “negri”, le piantagioni del sud. E’ un attimo. 

La nuova puntata in prima pagina è firmata da Iuri Maria Prado che appena ieri aveva pubblicato la sua perla in due pagine in cui il quotidiano mescolava camorra e degrado posillipino. E’ l’esperto del giornale, il loro… napolista.

Prado denuncia la mancanza di “sensibilità dei singoli”, perché le “piantagioni schiaviste non sono vissute né denunciate come una vergogna del Sud”. Al nord si fa ben altro uso del bracciante – precisa – perché “lo straniero impiegato a raccogliere mele in Trentino o fragole nel veronese o a mungere vacche nelle stalle padane non è vittima della degradazione normalmente garantita ai lavoratori incurvi sotto il sole meridionale”.

Il linguaggio, va da sé, è carichissimo, con i colori saturi della letteratura di genere. Parole a caso mai, tutto sovradosato: c’è “la sopraffazione” che è “perpetrata”, c’è “l’apparato negriero” e la “manodopera forestiera”, c’è il richiamo “all’operaio meridionale con le mani distrutte a lavorare il ferro lombardo”.

E’ Furore, è Steinbeck. L’abbiamo tutti sottostimato, Libero.

Intanto però riportiamo la sottolineatura del “perenne canone di lamentazione auto-giustificatoria” che mistifica tutto. Il pezzo d’arte: il nostro pomodoro diventa un “diamante insanguinato al dito della indifferente damazza bianca”.

Ah, la “nobile letteratura sociale” sull’operaio meridionale di cui sopra – quello rovinatosi le mani col “ferro lombardo” – “dimenticava quanto quel lavoratore assomigliasse al manovale bergamasco che scendeva alle quattro di mattina verso i cantieri milanesi”.

Chi di noi ha una collaboratrice famigliare nera grassottella, che chiama ovviamente Mami, lo sa: “almeno un trentennio di schiavismo in terra meridionale non ha mobilitato il Sud a farsi neppure una domanda sul proprio tenore civile, ed evidentemente un’economia che si sostenta con lo sfruttamento bestiale dei diseredati è percepita come una parte inevitabile del panorama, come lo sbuffo di fumo dal Vesuvio”.

Domani, ci scommettiamo, chiederanno la censura di Un Posto al sole da Raiplay, per incitamento all’odio razziale.

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