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Da Tyson alla Rapinoe, il nuovo business degli sportivi è la cannabis

L’Equipe sul nuovo Eldorado dell’industria americana: è un gigante da 10 miliardi di dollari l’anno. Gli atleti la usano, e gli ex atleti ci investono

Da Tyson alla Rapinoe, il nuovo business degli sportivi è la cannabis

Mike Tyson ha costruito un ranch di oltre 150 ettari in California, per coltivare la cannabis. Con hotel di lusso, un campeggio chic e commercializzazione di prodotti a base di CBD. Il giro d’affari del Tyson Ranch è stimato intorno a 6 milioni di dollari all’anno.

E’ uno dei tantissimi sportivi che negli Stati Uniti hanno deciso di investire forte sulla cannabis legale. Trentatre stati (su cinquanta) ne autorizzano l’uso medico e undici di questi anche l’uso ricreativo. Gli affari vanno a gonfie vele: è un mercato da 10 miliardi di dollari nel 2018 e secondo l’istituto di ricerca Grand Review potrebbe diventare un mostro da 72 miliardi nel 2027. Lo racconta L’Equipe.

Montana, il quarterback dei San Francisco 49ers campioni della NHL, ha investito attraverso la sua società di capitali in una società californiana, la Caliva. Di “Iron Mike” abbiamo detto. Landis, l’ex ciclista citato con un certo disprezzo da Armstrong nel documentario Lance ha il suo negozio in Colorado. Megan Rapinoe, campionessa del mondo di calcio nel 2015 e nel 2019 con gli Stati Uniti, finanzia sua sorella gemella, Rachael, nello stesso campo.

Il cannabidiolo è il nuovo El Dorado degli sportivi americani, sempre alla ricerca di investimenti profittevoli. Ci sono arrivati per diretta conoscenza del prodotto: Nate Jackson ha scoperto le virtù della cannabis nel 2007, per curare un infortunio all’inguine mentre era ancora un giocatore a Denver.  Lo stesso schema si riscontra regolarmente negli sport di contatto come l’hockey e in particolare il football americano, dove i giocatori lo hanno provato per sostituire i farmaci ad alto dosaggio e gli oppiacei, responsabili della più incredibile epidemia di tossicodipendenza del mondo occidentale.

E’ un mercato emergente, che non è ancora del tutto scoppiato perché la percezione negativa della cannabis da parte del pubblico come di una “droga” è ancora molto forte. “C’è uno stigma sul cannabidiolo, anche se è stato rimosso dall’elenco dei prodotti vietati dall’Agenzia mondiale antidoping nel 2018”, sostiene la star del basket Sue Bird, partner di Megan Rapinoe.

Ma proprio gli atleti sono un incredibile leva pubblicitaria. “Quando la gente vede che i migliori atleti del mondo lo usano regolarmente penso che le paure del pubblico in generale si dissiperanno”.

In termini di controlli però sono stati fatti pochi progressi. Per ora, solo l’NHL ha scelto di non sanzionare i giocatori positivi per la marijuana. “Se un giocatore vuole usare la cannabis, deve farlo in modo responsabile, come l’alcol – afferma Harrington – Se bevi e ti ubriachi durante una partita, verrai escluso, inserito in un programma di recupero, ecc. Lo stesso vale per la cannabis. Chiunque ne abusi dovrebbe essere punito. Ma dobbiamo dare più credito agli atleti e capire che molti lo usano per il recupero o la gestione dello stress”.

L’NBA è ancora restia: nel 2019, il commissioner Adam Silver ha detto: “Quando cambiamo le nostre regole, dobbiamo stare molto attenti perché stiamo inviando un messaggio al pubblico giovane. Come con l’alcol, si deve capire come usare tali sostanze in modo appropriato”

Ma è un’industria che può diventare un gigante ai livelli di quella dell’alcool o delle sigarette. E indirettamente, la crisi sanitaria per il coronavirus potrebbe aiutare. Non sono solo i venditori a guadagnarci, ci sono anche governi locali. Per lo Stato di New York, parliamo di 500-700 milioni di dollari di tasse riscosse ogni anno. Così cambiano idea anche i politici più riluttanti.

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