Luis Suarez: «Non esiste calcio senza contatto. Ai miei tempi era battaglia ed espulsioni, niente gialli»
L'"architetto del gol" ex Pallone d'oro al Giornale: «Il nostro calcio era lento? Avete mai giocato contro Jair, Gento e Mazzola?»

Sul Giornale un’intervista all’ex Pallone d’oro Luis Suarez Miramontes, “l’architetto del gol”. Una leggenda nerazzurra e non solo. Domani compie 85 anni. Parla della quarantena, ma anche del calcio che è destinato a riprendere a porte chiuse.
«Oggi, per il calcio, non ci sono alternative ma ritengo che non si debba giocare, è presto, si deve aspettare, agosto, settembre, magari fare come in Olanda, senza assegnare il titolo. Non è la fine del mondo. I calciatori dovrebbero parlare, per tutelare la loro salute. Come si può pensare a una partita senza contrasti, senza contatti? E a porte chiuse poi. Non è football».
L’intervista è piena di ricordi sul suo passato calcistico. Su quello che era un altro calcio. Che tanti oggi, gli fanno notare, definiscono lento e prevedibile.
«Anche oggi è un altro calcio. Lento il nostro? Jair, Gento, Mazzola erano lenti? Ma gli allenatori che parlano hanno mai giocato contro Di Stefano, contro Puskas? In quel calcio non c’erano cartellini gialli, scattava soltanto l’espulsione ma dopo la battaglia».
E continua:
«I calciatori oggi sono tipi da palestra ma vi racconto questa: giochiamo a Siviglia, chiedono a Herrera un pronostico. Helenio risponde: “Vinciamo senza scendere dal bus”. Fu la scintilla, picchiarono come dei fabbri, uno, di cui non ricordo il nome, mi stese da dietro e mi urlò: “stavolta ti ho ferito, alla seconda ti ammazzo”. Era meno aggressivo?».
Parla del calcio olandese di una volta.
«C’è stato un periodo in cui tutti volevano imitare il calcio olandese, pensando che fosse figlio del lavoro sul fisico. In verità quell’Olanda, quell’Ajax avevano calciatori di grandissima tecnica. Qualcuno abboccò, ora ci siamo un po’ ripresi».
Oggi i troppi soldi stanno rovinando i giovani, dice.
«I troppi soldi stanno rovinando i giovani che non comprendono come il calcio sia sacrificio e sofferenza. Perdono, in molti, la coscienza della realtà. Ripenso a quando andavamo a giocare in parrocchia, nel mio quartiere di pescatori e operai, in avenida Hercules, al numero 20 di Monte Alto a La Coruna, nessuno aveva il pallone, giocavamo con un a palla di stracci, soltanto il prete aveva tutto il necessario, maglie, pantaloncini e pallone. Quando incominciai a giocare con il Deportivo, andavo all’allenamento in tram. A Barcellona mi regalai una Dauphine Renault, poi con Goicolea mettemmo su una fabbrichetta di maglieria. Tutto qui. Prima degli anni d’oro all’Inter».
L’unica cosa che non ha vinto è il Mondiale.
«Ho vinto tutto, tranne il titolo mondiale con la nazionale spagnola. Ogni tanto chiedo a Beppe Bergomi che sapore abbia avuto quella coppa, vinta a Madrid, per lui».
E conclude parlando della gestione Suning all’Inter. Dice che non avrebbe mai immaginato che il club nerazzurro sarebbe finito nelle mani dei cinesi.
«Mai e mi dispiace moltissimo. Non sono più affezionato come lo ero e lo sono stato da quando sono arrivato in Italia. Ho sperato in una cordata di imprenditori, milanesi e non, ma quando ho visto il centro sportivo di Appiano Gentile, intitolato ad Angelo Moratti, che porta in lettere grandi, molto grandi, il nome Suning e, in basso, in memoria, addirittura scritta in inglese, di Angelo Moratti allora non sono riuscito a frenare la rabbia. Questi sono venuti per fare soldi, non conoscono altro, non hanno cultura, non conoscono il calcio, possono cancellare quello che vogliono ma la storia dell’Inter e dell’uomo che l’ha fatta grande e che ha voluto quel centro sportivo, non può essere cancellata da nessuno, anche da chi sta cercando di tornare a vincere tutto. Non vado a San Siro da tempo ma non c’è più quel cuore della grande squadra e del grande club».