La figlia di Mihajlovic: «Papà non è più il sergente, la malattia lo ha reso più empatico»

Il CorSera intervista Viktorija: «A tavola dovevamo finire tutto e senza cellulare, ogni lunedì veniva a parlare a scuola. Adesso parliamo»

sinisa

Il Corriere della Sera intervista Viktorija Mihajlovic, la figlia maggiore dell’allenatore del Bologna Sinisa. Ha appena scritto un libro in cui parla di suo padre. Uscirà il 19 maggio, si intitola “Sinisa, mio padre.

Racconta la commozione nell’averlo visto allenarsi in campo, da solo, a Casteldebole, due giorni fa.

«Fino a ieri camminava e basta, questa è la prima volta che si allena e io so quanto lo desiderava. Vederlo è stata un’emozione. Mi è tornato in mente quando l’ho visto dopo il primo ciclo di chemioterapia: ne aveva fatte 13 in cinque giorni, era in ospedale, le gambe di colpo secche nei calzoncini, le orecchie che sembravano enormi perché aveva perso i capelli. L’ho abbracciato e non ho sentito la sua stretta. “Non ho molta forza”, mi ha detto. Non so come sia riuscita a non piangere. Ho pianto dopo».

Della malattia del padre ha saputo mentre era in vacanza al mare, in Sardegna. Sinisa chiamò la moglie Arianna per dirglielo e toccò a lei comunicarlo ai figli. Viktorija racconta di aver reagito urlando e piangendo.

«Papà era uno sportivo, giocava a Paddle tre ore di seguito, era inimmaginabile che stesse male».

Ora per fortuna Sinisa sta meglio.

«Papà è stato forte e fortunato, perché ha sopportato tre cicli di chemio, ha trovato un midollo compatibile e fatto il trapianto, e non si è mai perso d’animo. Seguiva gli allenamenti al computer e il giorno in cui è uscito dall’ospedale, senza aver mosso prima un passo, è andato dai suoi calciatori».

Racconta il Sinisa padre.

«Papà era il “sergente Sinisa” anche a casa. Quello che a tavola devi finire tutto e non si guarda il cellulare, quello che tutti i lunedì, suo giorno libero, veniva a parlare con la preside perché io sono sempre stata ribelle: non sopporto le ingiustizie e rispondevo ai professori. Per cui, lui mi metteva in punizione. Una volta, dopo due settimane chiusa in casa a giugno perché avevo preso due debiti a scuola, lo imploro di farmi uscire e lui: vai sul balcone».

Non solo sergente di ferro, però. Sinisa era anche capace di giocare al clown per far ridere i figli. Oggi, racconta Viktorija, dopo la malattia i rapporti con il padre sono cambiati.

«È più empatico. Si commuove per il messaggio di un amico e, prima, mi abbracciava, ma il dialogo non c’era, mentre ora parliamo. Un giorno, gli ho dato lo sciroppo, lui ha fatto “aaah” e si è lasciato imboccare come un bimbo».

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