I soldi, l’ultimo tabù del calcio. I giocatori: “Non ne possiamo parlare, ne usciamo sempre male”

Inchiesta di The Athletic: i calciatori quando affrontano l'argomento vogliono restare tutti anonimi. "Non ci sentiamo a nostro agio, la gente ci considera peggio del fisco"

stranieri Juventus

Con il calcio relegato nei ricordi dalla pandemia, l’immagine pubblica dei giocatori è rimasta stravolta dalla crisi finanziaria: d’un tratto i “nostri beniamini” (come li chiama il premier Conte) sono diventati giovani privilegiati, ricchi spendaccioni e avidi. Lo erano anche prima, ma il tifo e lo sport “giustificavano” e coprivano l’argomento. Ora che non giocano, è cambiato tutto. E questa deriva populistica ha messo in evidenza un atteggiamento già endemico tra i giocatori: la vergogna dei soldi.

“Non ci sentiamo a nostro agio a parlare di soldi pubblicamente”, dice un calciatore della Premier League a The Athletic. E’ uno dei tanti interpellati per l’inchiesta del giornale online che ha preferito restare anonimo. Centrando il punto: se si parla di soldi meglio non pubblicare il nome. I soldi fanno male alla reputazione, e qualsiasi sia l’approccio il giocatore ne uscirà in una veste negativa.

I soldi – scrive The Athletic – sono uno degli ultimi argomenti tabù del calcio. Un altro giocatore di Premier lo spiega così: “Ognuno di noi sa se parliamo di soldi guadagnati, che sia in termini positivi o negativi, saremo travolti da una frana di critiche. Abbiamo una reputazione persino peggiore del fisco”.

E’ frustrante: i soldi che guadagnano funzionano contro di loro quando non vanno bene, ma vengono dimenticati se vincono trofei. I giocatori attraversano un ciclo morale infelice, perché i tempi migliori tendono a farli sentire intoccabili.

Nel documentario di Netflix sui Chicago Bulls “The last Dance”, ad un certo punto Dennis Rodman, dice che lui avrebbe giocato a basket anche gratis. Il suo ricco stipendio è giustificato dal “resto della merda che dobbiamo affrontare”. Parlando con The Athletic, otto dei dodici calciatori intervistati citano Rodman.

Uno di questi ammette di essersi chiesto se fosse giusto donare parte del suo stipendio al sistema sanitario nazionale inglese, di recente. “È compito del governo finanziare il servizio sanitario nazionale, e pagare ai medici e infermieri i soldi che meritano”, dice. “Io sono felice di aiutare, ma il SSN non è un ente di beneficenza e non dovrebbe essere considerato tale, anche nel clima attuale”.

“Sembra che il governo ci abbia preso di mira perché siamo di origine popolare e abbiamo lavorato duramente per diventare ricchi. Dov’è il richiamo per i banchieri? Ancora una volta, se metto il mio nome in questo articolo, molti che mi condannerebbero”.

Insomma: i calciatori si sentono bersagli facili, non solo per i soldi che guadagnano, ma anche perché in pochi parlano di politica: “Alcuni di noi potrebbero non avere un’opinione generale sulle cose, ma ne conosco alcuni che lo fanno. Sembra che non ci sia permesso parlarne anche perché, beh, siamo calciatori: ‘Sei ben pagato, quindi non dovresti avere nulla di cui lamentarti’ “.

Un altro dice che “sembra che il governo stia cercando di distogliere l’attenzione dai suoi fallimenti e noi siamo i capri espiatori”. Pensa che alcuni calciatori abbiano paura di tornare a giocare nel bel mezzo di una pandemia, ma ce ne sono altri che tipo di reazione li aspetterebbe se provassero a non farlo, mentre il mondo che li circonda torna alla normalità. “Se diciamo ‘No, non è sicuro’, ma tra un mese gran parte del Paese tornerà dal lavoro ogni giorno, vedo già cosa diranno: ‘Fanno i preziosi. Guarda i soldi che guadagnano…”.

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