«Erano tempi liberi e insieme complicati. Chi aveva problemi, andava a rubare i portafogli sugli autobus, annavano a fa’ er quajo, come si diceva. Eravamo poverissimi. Si faticava a finire la giornata. I maglioncini duravano per generazioni. Le toppe invecchiavano sui gomiti. I valori erano traguardi veri. Aridatece i valori! Levateje i telefonini! Mio padre diceva: discoremo. Parlatevi ragazzi! Noi mangiavamo la frutta che scartavano ai mercati generali di Via Ostiense, c’è una bella differenza».
Ferrero racconta la sua vita: «Dal carcere minorile a Monica Vitti che mi chiamò viperetta»
Intervista a Repubblica Roma: «Eravamo poverissimi. Si faticava a finire la giornata. Entravi a Cinecittà nascosto nella casse dei panni della lavanderia»

Repubblica Roma pubblica un’intervista di due pagine a Massimo Ferrero presidente della Sampdoria. Ferrero ha cinque figli, la più grande ha quasi 50 anni. Si definisce «romanista da prima che nascessi». Racconta la sua infanzia a Testaccio.
Le ragazze
«Allora funzionava così: che non sapevi quando avresti dato o rimediato un bacetto. Non era come sarebbe stato poi, che la ragazze, scusate la franchezza, se la svitavano e te la tiravano addosso. Per incontrare le donne dovevi vivere in un’altra dimensione, borghesia, banche, avvocati, notai. O figli di papà. A noi povera gente non restava niente, per noi le ragazze erano tutte vestite, manco a Ostia se spojaveno».
Fu arrestato per oltraggio al papà della sua fidanzata, “era una guardia”. «Lo chiamavano riformatorio, ma in realtà era un carcere vero e proprio».
E della leggenda del Viperetta?