Il CorSport intervista l’ex presidente del Coni. «Il calcio può fare quello che vuole in piena autonomia. Se ripartirà a giugno io mi piazzerò davanti alla tv»
Il Corriere dello Sport intervista Gianni Petrucci, ex capo del Coni. Il tema è l’intervista rilasciata ieri da Malagò al Corriere dello Sport. Parole che hanno scatenato la reazione della Lega e anche del presidente della Figc Gabriele Gravina.
Dichiara di non voler entrare nel merito delle cose dette dall’attuale numero uno del Coni, ma ne contesta l’atteggiamento. “Fa sempre così”, dice. E spiega.
«Quell’io, io, possibile che lui non abbia mai commesso errori? Da dirigente sono sempre stato al mio posto, anche se non ho taciuto quando qualcosa non mi andava bene».
Petrucci dettaglia la sua posizione sul calcio.
«Il calcio può fare quello che vuole in piena autonomia. Su un punto Giovanni ha perfettamente ragione. Non è il calcio a finanziare lo sport, c’è una legge dello Stato, attenzione perché entriamo nel campo del costituzionale. Le varie federazioni hanno differenti identità e specificità, così uso un termine caro a Gravina. Se la Serie A ripartirà a giugno io mi piazzerò davanti alla tv».
Per il basket la scelta di fermarsi è stata obbligata, dice.
«Non potevamo fare altrimenti, dal momento che giochiamo al chiuso e non c’erano le date utili per avere i palazzetti».
E poi i contributi garantiti dallo Stato per la fase post-emergenza avranno una maggiore incidenza sulle federazioni non autosufficienti che su quelle che si finanziano da sole.
«Non è il caso di aprire una discussione che potrebbe avere sviluppi antipatici in sede di Consiglio nazionale. Il mondo è cambiato, il Coni non è più il Ministero dello Sport, ora c’è un ministro messo dal Governo e c’è Sport e Salute. Non è più come ai tempi di Carraro, Petrucci, Pescante o come nei primi sei anni di Gravina. Il ministro dello Sport ha rafforzato l’autonomia delle federazioni».
E ancora sulla ripartenza del campionato.
«Sono della scuola di Franco Marini, straordinario sindacalista della Cisl e in seguito Ministro del Lavoro e della Previdenza sociale e presidente del Senato. Faccio mie due sue riflessioni la prima: occupando certi ruoli bisogna impegnarsi tanto. Quando si fa parte del sindacato prevalgono le istanze dei lavoratori molto più delle indicazioni degli avvocati. Da ministro, invece, conta soprattutto il diritto. La seconda: confronto e dialogo. Sguardo al minimo comune denominatore piuttosto che al massimo comun divisore. Sono stato abbastanza chiaro? »