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Ma non è più logico (e anche etico) sospendere il campionato?

Il calcio italiano alla prova della verità. Per ora solo liti e confusione. I dirigenti del pallone sembrano vivere su un altro pianeta

Ma non è più logico (e anche etico) sospendere il campionato?

Esiste in Italia un solo caso di sospensione del campionato. La tragedia aerea di Superga. 4 maggio 1949.  Ci morì tutta la squadra. L’imbattibile Toro. Ancora oggi se ne parla con rispetto e cordoglio, dovuti a un sistema capace di fare, di fronte alla tragedia, la cosa giusta: sospendere il campionato degli assi e schierare in segno di lutto, contro i lusitani del Benfica (l’avversario) e d’accordo con loro, le giovanili in campo. Al Torino fu assegnato il campionato a tavolino (per carità, nessun riferimento alle cose di oggi, solo un’etica, quella di allora, che faceva da bussola per qualsiasi decisione). L’epica del Toro si concludeva così, testimoniata da mezzo milione di persone in piazza.

Era l’età dell’innocenza. Vittorio Pozzo, ex Ct della nazionale, dovette riconoscere le salme, Tommaso Maestrelli non partì perché non aveva rinnovato in tempo il passaporto. Nicolò Carosio fu bloccato dalla cresima del figlio.

Com’è triste vincere

Trentasei anni dopo, maggio 1985, finale di Coppa Campioni, il Liverpool degli Hooligans contro la Juve di Platini, stadio Heysel (oggi Re Baldovino), Belgio. Sotto la pressione dei tifosi italiani, impauriti dalla violenza britannica, cede una tribuna, molti rimangono schiacciati, 39 morti, 600 feriti. Decisioni drammatiche. Le squadre sono negli spogliatoi e ci rimangono ancora per un’ora e mezza. Si gioca, non si gioca. Alla fine si gioca. Si dice per questione di ordine pubblico. Vince la Juve, ma a dispetto dei morti, si festeggia in campo e fuori. Nessuna sospensione della partita, nemmeno la tristezza in volto.

Comanda il mercato. La parte più nobile, quand’è così, spetta al vecchio

The show must go on, quella più detestabile all’irrinunciabile business con ricchi premi e cotillon. Comunque, fatta la partita, vinta la Coppa, dell’Heysel non se ne è fregato più nessuno.

La Grande Infezione

Succede oggi che un virus, tra mutazioni ambientali e viaggi in aereo, fa il salto di specie e viene a rompere le scatole a noi umani, equivocando il messaggio di Salvini. “Prima gli italiani” diventa per il virus “Prima i lombardi”. A seguire, gli europei, gli americani, gli asiatici, i russi, tutto il mondo. Sta di fatto che la pandemia del ‘corona-virus’ miete vittime come in una guerra vera (i decessi in Italia si contano a decine di migliaia, nel mondo a cifre impensabili due mesi fa). Perdono la vita medici e infermieri in battaglia, la sanità barcolla. Pensa di tenere in pugno il virus, ma l’unico rimedio, in assenza di farmaci e vaccini, è starsene a casa. Abbiamo tutti imparato, col libretto d’istruzione, a spegnere la città.

Questione di soldi

E il calcio? Si gioca, non si gioca, ritorna l’ossessione. Gli organi del pallone sembrano nati in un altro pianeta. Il fiume di bare fa rabbrividire. Ordinate e sconosciute, in fila come in una guerra combattuta e persa. E il governo del calcio che fa? Si masturba con i campionati da salvare, con le ipotesi e sottoipotesi, con la possibilità che il virus si annidi nei polmoni di qualche giocatore e mandi all’aria business e salute. E i diritti televisivi, i soldi copiosi, i procuratori che con le loro parcelle potrebbero comprare mascherine, respiratori e finanziare un ospedale intero?

Tamponamenti a catena

Il minimo che si possa fare, se sciaguratamente si dovesse giocare in un mare di contatti repressi, di saliva ingoiata, di mascherine mozza-fiato, di numeri 1, che non sono i portieri ma i primi ‘positivi’, è tamponi per tutti e non ci pensiamo più. Un’assurdità che sta in piedi solo perché c’è un fiume di denaro da proteggere (ma non la vita dei sanitari senza paura, morti per garantire la salute di infettati e giocolieri).

Atalanta-Valencia accende il fiammifero

Non se ne è parlato abbastanza, ma tutto comincia in Lombardia da un ospedale (Alzano) che doveva restare chiuso e incautamente è stato messo in gioco contro lo sciame di ‘corona virus’, da alcune case di riposo, a partire dal noto Pio Albergo Trivulzio, diventate discariche di contagiati, e da una partita di Coppa, Atalanta – Valencia, 19 febbraio, 40mila tifosi euforici per la vittoria, che festeggiano e si ritirano poi nelle proprie case del Bergamasco. Se non è la festa dei proto-contagiati, è sicuramente, per usare le parole del protocollo, un ‘assembramento’ di potenziali ‘positivi’ contagiati, infettati, immuni e via sciamando per le valli e le città lombarde, Milano compresa. È l’anomalia del Nord, che diventa la zona rossa per eccellenza.

Mentre la pandemia presenta il conto, il calcio, attraverso le sue miserie, si tiene stretto il suo tesoretto (si fa per dire). Disposti a giocare anche senza pubblico, non per una o due partite, ma per mezzo campionato. Tutto in tv. Ci manca poco. Un tablet per ogni giocatore, che se ne può stare a casa, un programmino come a scuola e il joystick al posto del pallone.

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