Il Guardian: il calcio è da decenni una lotta nel fango di interessi, la pandemia non c’entra
Durissimo editoriale del Guardian. L'unica legge è quella del mercato, regnano l'egoismo tribale e commerciale, la thatcherite che mette gli uni contro gli altri

In Inghilterra, in questo momento, il capro espiatorio di tutto si chiama Matt Hancock il Ministro della Salute. “È l’obiettivo facile del populismo economico”, e anche il mondo del calcio ci si è buttato con tutte le dita puntate all’unisono. “La fame di agnelli sacrificali e altre forme di bestiame votivo sembra più forte che mai. La cultura della colpa non è una novità per il calcio, ma l’urgenza dell’attuale crisi sembra aver ampliato il suo raggio d’azione oltre gli obiettivi solitamente consacrati: calciatori, arbitri ed esperti televisivi”, scrive in un durissimo editoriale il Guardian.
Il calcio inglese sta dando il peggio di sé, in questo periodo emergenziale. Il dibattito sul taglio degli stipendi, il disprezzo per i club che hanno messo in cassa integrazione i dipendenti – con quello clamoroso del Liverpool “operaio” costretto a tornare sui propri passi per salvare la faccia – sono solo gli ultimi esempi di quella che può sembrare una situazione nuova, ma non lo è affatto.
“Per molti versi si tratta di una lotta nel fango, una lotta che si sta preparando da tempo: anni, persino decenni. L’incapacità del calcio inglese di riunirsi e funzionare come un collettivo non è nata dall’oggi al domani; è cresciuta, invece, a piccoli passi devastanti”.
E l’articolo fa degli esempi: l’elusione del Tottenham della Regola 35 della FA nel 1983, che trasformò irrevocabilmente le squadre di calcio in entità a scopo di lucro, il distaccamento della Premier League, “che incorporò l’economia del libero mercato come ideale culturali”, l’afflusso in gran parte incontrollato di proprietari miliardari nei primi anni del 21esimo secolo… “ma come dice il vecchio proverbio, se inviti anatre nella tua cucina, non essere sorpreso quando ti svuotano il cestino del pane”.
“E così la storia degli anni del boom del calcio inglese è anche quella di un’atomizzazione, di un distacco e della polarizzazione: la graduale trincea della Thatcherite, nella quale siamo tutti eternamente in competizione. I tifosi vengono alimentati e messi l’uno contro l’altro. I club, che ora competono sul bilancio come sul campo da gioco, sono allineati in un eterno disaccordo, seguendo solo la volontà e l’ambizione individuali dei loro proprietari. Soprattutto, la legge del mercato regna sovrana: la lingua della ricchezza è l’unica accettabile. Se si stesse cercando di progettare un sistema ostile alla collaborazione e alla solidarietà, non si potrebbe fare meglio del calcio inglese nel 2020″.
E ancora:
“L’egoismo tribale e commerciale è il motivo per cui non si riesce a combattere il razzismo. Ecco perché l’applicazione della Var è un tale casino. Ecco perché la pianificazione e il carico di lavoro dei giocatori sono una vergogna. Ecco perché non esiste ancora un modello di finanziamento sostenibile per il calcio femminile. E nelle fauci della peggior crisi di una generazione, i tentativi di assicurarsi un futuro sono trascesi in discordia, sfiducia e lotte”.
“Questa pandemia ha messo in luce le ferite del calcio inglese, un’insoddisfacente coalizione di caos che emerge dalle macerie: la puzza di uno sport che si è rosicchiato da solo”.