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Il caso del Pio Albergo Trivulzio dove il virus (e i 70 anziani morti) sono stati tenuti nascosti

Su Repubblica. Dopo la denuncia di un sindacalista, la direzione ha insabbiato tutto. A inizio marzo era stato cacciato il geriatra perché faceva indossare al personale le mascherine

Il caso del Pio Albergo Trivulzio dove il virus (e i 70 anziani morti) sono stati tenuti nascosti

La Procura di Milano ha aperto un’inchiesta su quanto accaduto nelle ultime settimane nel Pio Albergo Trivulzio, storica casa per anziani del capoluogo lombardo. Sono oltre 1300 gli anziani ospitati, e 70 i morti nel mese di marzo. Addebitabili al virus. Un virus che è entrato nell’ospizio ma che la sua proprietà ha occultato. Mentre operatori e pazienti si ammalavano.

Il caso è su Repubblica.

Il 3 marzo, dal Trivulzio è stato allontanato il professor Luigi Bergamaschini, uno dei più qualificati geriatri milanesi. Il motivo era che aveva autorizzato il personale medico ad indossare le mascherine chirurgiche. Le stesse mascherine che sono state vietate a medici e paramedici lo stesso giorno in cui Bergamaschi è stato mandato via.

La denuncia arriva da un sindacalista, Pietro La Grassa. Accusa il direttore generale del Pat, Giuseppe Calicchio.

«Gli anziani morivano e a noi, nonostante l’evidenza dei sintomi, dicevano che si trattava solo di bronchiti e polmoniti stagionali. Il risultato è che ora al Trivulzio abbiamo sette reparti isolati completamente e due vuoti perché non accettiamo più nuovi pazienti. Nella struttura di Merate novanta sono sotto osservazione. Al Principessa Jolanda di via Sassi due reparti sono in isolamento».

Soltanto quando non è più stato possibile nascondere l’epidemia, al personale è arrivato l’ordine di non trasferire più i pazienti nel pronto soccorso, continua.

«Il che di fatto significa: lasciateli morire nei loro letti. Niente tamponi, ci mandano allo sbaraglio».

Repubblica riporta anche le parole del professor Bergamaschini, che il 25 marzo è rientrato in servizio, dopo che la Statale ha minacciato un’azione legale in sua tutela.

«A fine febbraio, quando si ha notizia dell’arrivo dell’epidemia, ci poniamo il problema di utilizzare le mascherine chirurgiche. Ci rispondono che non ce ne sono. Chi riesce se le procura, tanto più che il 28 febbraio il mio reparto viene blindato. E io ovviamente, ignorando i rimproveri — “mica sei tu il direttore sanitario” — ne autorizzo l’impiego».

Il 3 marzo la direzione del Trivulzio lo chiama, racconta.

«Vengo convocato e mi comunicano che il direttore generale Calicchio è montato su tutte le furie perché faccio indossare le mascherine. Replico: ma io mi limito a non impedire di adoperarle… A questo punto la dottoressa Rossella Velleca mi notifica che da domani dovrò restare a casa, anche a tutela della mia salute visto che ho 70 anni. Ma è una scusa che non regge, vista la mail inequivocabile che mi arriva: “Stante la Sua gestione, Lei è esonerato dall’attività generale”».

Poi il reintegro.

«Quando il 25 marzo sono rientrato in servizio ormai al Pio Albergo Trivulzio si respirava un clima di terrore. Già si conoscevano i metodi autoritari del direttore Calicchio, giunto a sospendere un vecchio primario ormai prossimo alla pensione. Ma non riesco davvero a capacitarmi di che cosa lo abbia spinto a tenere sotto silenzio la grave situazione delle nostre strutture».

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