«Il calcio italiano è gattopardesco: cambiano presidenti e dirigenti, ma rimane tutto uguale»

Claudio Gentile intervistato dal Giornale: «I problemi del calcio partono dall’aver tolto dalla scena il talento. Da anni infatti non vanno avanti i più bravi, ma i raccomandati. In Italia se non abbassi la testa non ti fanno lavorare» 

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Sul Giornale un’intervista a Claudio Gentile, ex calciatore della Juve, uno dei protagonisti del Mondiale di Spagna del 1982. Un campione del mondo sparito dalla scena dal 2006, nonostante la vittoria dell’Europeo con l’Under 21 e la conquista del bronzo olimpico ad Atene.

Dice di non essere meravigliato delle lotte interne al mondo del calcio per interesse e potere.

«I problemi del calcio partono dall’aver tolto dalla scena il talento. Da anni infatti non vanno avanti i più bravi, ma i raccomandati. Parte tutto dai settori giovanili. Oggi un ragazzo, con il papà che c’ha i soldi, fa fuori la concorrenza e ha più possibilità di fare carriera. Molti genitori pagano i club per portare avanti le carriere dei propri figli, che così passano davanti a un coetaneo con più qualità».

I bravi e talentosi, così, sono costretti a mollare, sorpassati dai raccomandati. E aggiunge che nelle scuole calcio c’è troppa tattica, come dichiarato a suo tempo da Massimiliano Allegri.

«Nelle scuole calcio molti allenatori invece di far crescere i ragazzini, insegnando loro a marcare, li imbottiscono di nozioni tattiche. A 11-13 anni dovrebbero pensare a divertirsi».

Un tempo si giocava per passione, c’era amore per il calcio.

«Mentre adesso sono i genitori che spesso spingono i figli, sperando siano i nuovi Ronaldo per fare un mucchio di soldi».

Racconta di non essere mai stato incoraggiato a giocare dai suoi genitori.

«I miei genitori da questo punto di vista non mi hanno aiutato, dovevo arrangiarmi da solo. Abitavo a Brunate e andavo tutti i giorni fino a Como a piedi. Era la passione che mi spingeva, non come adesso che vanno al campo tutti griffati con scarpe da 250 euro».

Distingue tra i giovani italiani e gli stranieri.

«I nostri giovani aspettano che l’occasione gli cada addosso, mentre chi viene dall’estero ha la voglia di emergere che avevamo noi. Vivono il calcio come un riscatto sociale e prendono spazio nelle nostre giovanili».

E così le Nazionali soffrono. Di sé dice che è stato il mondo del calcio a metterlo da parte.

«Io ormai sono tagliato fuori. Dicendo la verità, mi hanno messo da parte. Solo dall’estero c’è stata qualche chiamata. In Italia niente, ma va bene così. Piuttosto che fare il burattino, sto a casa. Vent’anni fa Mazzone disse che in panchina ci sono 2 tipi di tecnici: gli allenatori e gli accompagnatori. Io sono un allenatore e non mi faccio imporre le scelte da nessuno. Il calcio italiano è gattopardesco: cambiano presidenti e dirigenti, ma rimane tutto uguale. Ogni anno vedo personaggi che hanno fallito ovunque, ma puntualmente trovano sempre squadra. Io dopo un Europeo vinto e il bronzo di Atene sono stato cacciato via. In Italia se non abbassi la testa e fai quello che ti dicono, non ti fanno lavorare. Io però, in campo e nella vita, non sono mai stato un burattino e mai lo sarò».

 

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