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Il ritorno del contropiede

Il Napoli ha vinto col Liverpool, pareggiato col Barcellona e sconfitto Juve, Inter, Lazio con due linee da quattro molto corte, cioè otto uomini, dietro la linea della palla

Il ritorno del contropiede

Si ritorna all’antico ovvero al vecchio che si veste di nuovo. Allegri non vedeva l’ora. Concede un’intervista all’Equipe e sostiene che sono più belli i gol realizzati in contropiede. Non ha tutti i torti, perché in Italia si gode a essere piccoli e sfavoriti, ma con la soddisfazione d’aver messo sotto i grandi e i favoriti. Insomma, c’è più gusto con Davide che batte Golia. Ciò che verrebbe fischiato nelle capitali europee del calcio –giocare per vincere sì, ma non con avarizia- viene apprezzato in Italia. Eccezioni di gioco totale esistono, come il Milan di Sacchi, il fu Napoli di Sarri o la furia dei cosacchi atalantini , guidati oggi da Gasperini. Ma la rivincita del contropiede era nell’aria. Come se avesse ritrovato il suo posto tra i banchi della scuola calcistica italiana.

Catenaccio non è una brutta parola

È l’eterno ritorno dell’inglese kick and rush (calcia e corri), adattato con mille accorgimenti difensivi ed estetici alla realtà italiana. Si può dire catenaccio? All’ingrosso, con una terminologia più affettata, si tratta di stare tutti (o quasi) dietro la linea della palla e dar fuoco alle ripartenze. Quindi, sì, possiamo anche chiamarlo catenaccio, se non ne facciamo una brutta parola al bar del lunedì.

Il Napoli ha vinto col Liverpool, pareggiato col Barcellona di Messi e sconfitto Juve, Inter, Lazio con due linee da quattro molto corte, cioè otto uomini, attaccanti compresi, dietro la linea della palla. L’importante è saper anche offendere. Clima cambiato, elogi a profusione per Gattuso, finanche da Sacchi, e stadio plaudente, col caro prezzi passato nel dimenticatoio.

Non si può negare che prima Guardiola con l’irripetibile Barca, poi Sarri con l’irripetibile Napoli, infine alcuni allievi dei santoni del tiki-taka, hanno tracciato la strada per un calcio diverso. Possesso (e recupero) palla, passing game, occupazione del campo e gioco offensivo “corto”. In poche parole precedenza allo spettacolo, non riproducibile, però, ovunque e comunque.

La confessione di Sarri

Il sarrismo? Lo abiura lo stesso Sarri. In una grande squadra, dice, per vincere a tutti i costi occorre affidarsi anche alle giocate individuali. Nella presunta attesa di Guardiola, la Juve aveva pensato a Sarri come antipasto, per non rimanere nelle retrovie della Grande Bellezza. Ma la Juve è la Juve, torinese e padronale. Niente a che vedere sul campo col tike-take, piuttosto una squadra né carne né pesce, brutta e vincente, secondo tradizione. Allegri il suo eterno cantore, Sarri su una panchina che scotta.

Il “Patetico Madrid” batte il grande Liverpool

È un’epoca che passa e, al di là dei moduli, pare digerita la noia delle partite all’italiana e tornato il gusto per difesa e contropiede. Chi ha visto, qualche giorno fa, il grande Liverpool contro l’arroccato Atletico Madrid, che i cugini del Real chiamano spocchiosamente “Patetico Madrid”, ha potuto assistere al 70 per cento di possesso palla dei Reds e alla vittoria dei Colchoneros. E’ noto che il Cholo riscalda i cuori dei suoi tifosi, praticando da una vita difesa e contropiede. La drammaturgia è comunque rispettata. Vedere il “Patetico” che batte il Real o il Liverpool riabilita le difese. I catenacci guerriglieri tornano a divertire.

La tendenza dice difesa e contropiede

In questo clima anche il Napoli dice la sua. In un modo o nell’altro fa tendenza nel calcio italiano. Prima una soluzione autoctona pre e post ritorno nella massima serie (Ventura, Reja, Donadoni, Mazzarri), poi gli “internazionali” per la svolta (Benitez, Ancelotti), in mezzo il gioco più amato (Sarri), oggi un outsider come Gattuso. Squadra europea in tutti questi anni, sostenuta da una grande popolarità. Un tiki-taka in miniatura, con un occhio a Guardiola, principe dello spettacolo, e un altro ad Allegri,

Calimero dal gioco brutto ma vincente

Dopo un’andata disastrosa siamo, quindi, a Gennaro Gattuso, detto Ringhio. Funzione traghettatore: “Vediamo di salvarci e di vincere qualcosa, poi ragioniamo”, questa la sostanza dell’ingaggio. Primo, non prenderle, come detta il sano istinto del mediano faticatore, poi dare poche ma azzeccate scoppole in attacco. Saranno state nelle intenzioni o per necessità, ma quello che s’è visto è tutti o quasi dietro la linea della palla. E’ il Grande Ritorno del catenaccio (o partita di sacrificio per le punte), che si completa con l’irriducibile contropiede all’italiana.

Gli antenati

Tra gli Illustri antenati Vittorio Pozzo, due mondiali (1934 e 1938) e una Olimpiade (1936) vinti. La sua teoria era che gli italiani per costituzione erano meno forti fisicamente e si dovevano industriarsi tatticamente. E l’Inter di Herrera (anni ’60)? Con una difesa fortissima, comandata dal “libero” Picchi, i lanci lunghi di Suarez, il micidiale contropiede di Mazzola, Peirò, Jair e Domenghini a fare il tornante (una fedele copia del nostro Callejón), solo per citarne alcuni del trionfale triennio di Herrera (1963-1966). Italianisti allo stato puro anche Gipo Viani, Nereo Rocco e via arroccandosi fino a Gattuso, che sarriano non è e nemmeno catenacciaro senza speranza. Difensivo sì, per non prenderle, ma con la promessa di portare la linea quindici metri più avanti. “Salvate il soldato Ringhio”, direbbe Spielberg.

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