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La differenza tra i rivoltosi del Napoli e i rivoluzionari del Corinthians di Socrates

La Democracia Corinthiana nacque anche – non solo – per l’insofferenza ai ritiri ma diverse erano la visione e il senso di responsabilità

La differenza tra i rivoltosi del Napoli e i rivoluzionari del Corinthians di Socrates

La primavera scorsa ho letto Il Dottor Socrates, biografia del leggendario centrocampista brasiliano. Mai avrei immaginato di tornarci tanto con il pensiero in quest’autunno-inverno. Non perché sia possibile una qualche analogia tra il Corinthians di fine anni ’70 e il Napoli contemporaneo. Ma perché il confronto tra le due esperienze sbatte in faccia un contrasto: per opporsi dignitosamente a un ritiro, affinché un gruppo di calciatori prenda in qualche modo le redini del club in cui giocano, non basta un gesto di rottura, serve anche un certo spessore personale.

Per farla breve, tra le ragioni del sommovimento che portò alla nascita della Democracia Corinthiana c’era anche l’insofferenza per i ritiri. Che nel calcio brasiliano del tempo non erano misure straordinarie, ma una pratica (la concentração) che precedeva ogni partita. A Socrates e ai suoi compagni non piacevano: sottraevano tempo a famiglie e svaghi, mentre non favorivano la concentrazione, appunto, ma si risolvevano solo in una tediosa limitazione delle libertà.

Tornando al Napoli di oggi, una premessa è d’obbligo: una crisi di tale portata ha più cause, diversi responsabili (con sfumati gradi di responsabilità individuali) e vari momenti di svolta. Quindi non si può dire che sia questa l’origine di tutti i guai. Ma tra gli spartiacque della stagione vanno annoverati il (tristemente) famoso ammutinamento, insieme alla la decisione della dirigenza di cambiare guida tecnica, anche per assecondare la volontà di parte della squadra di tornare al 4-3-3. E’ un fatto.

Col senno di poi è evidente che De Laurentiis e Ancelotti, dal 2018 a oggi, hanno compiuto un errore di valutazione del capitale umano a disposizione. Di fronte alla questione del rinnovamento della rosa, hanno ritenuto di poter fare affidamento, sia sul piano professionale che personale, su un parco composto da giocatori anagraficamente al picco della propria parabola (Allan, Koulibaly, Insigne), su ex giovani da cui aspettarsi l’ingresso nella maturità (Zielinsky) e su un paio di veterani (Callejòn e Mertens). Toccava a loro essere il nerbo della squadra, una volta andati via i precedenti leader (Hamsik, Albiol, Reina).
C’è da credere che anche gli stessi giocatori si siano sopravvalutati. Che, chiamati alla sfida, si siano ritenuti pronti, finanche capaci di fare di più. Di sfidare lo status quo.

Ma si sbagliavano tutti. Non ha funzionato il rinnovamento. Così come non hanno dato risultati lo scontro sul ritiro, l’ammutinamento e (fin qui) la restaurazione del 4-3-3. Eventi nei quali lo spogliatoio ha operato, a seconda dei casi, in aperto contrasto o d’intesa con la dirigenza, ritagliandosi un ruolo, quindi, politico.

Ecco, qui sbatte la differenza tra il Napoli e la Democracia Corinthiana: un conto è essere rivoltosi, cioè al meglio professionisti del disordine. Altro è essere rivoluzionari, ovvero persone dotate di visione, obiettivi e, soprattutto, piani d’azione.

Certo, stiamo parlando di sportivi professionisti, non c’è da pretendere troppo. Eppure serve un briciolo di consapevolezza anche in un ammutinamento. Socrates combatteva la propria battaglia per un calcio più libero nel Brasile della dittatura militare, assumendosi grandi responsabilità anche in ambito civile. Ai tesserati del Napoli non si chiede tanto, ma che badino almeno al risultato del campo: quel Corinthians ha pur sempre vinto due campionati paulisti; tra una multa e un esonero, lo spogliatoio azzurro, con i suoi leader e i suoi senatori, potrebbe mantenere una media punti da salvezza tranquilla, invece di liquefarsi.
I rivoltosi del Napoli pagheranno il conto della propria inadeguatezza. In parte lo stanno già facendo di fronte al pubblico, ormai pronto ad accompagnare alla porta gli stessi atleti che ha adorato per anni. Per la restante parte, lo faranno con De Laurentiis. O dovrebbero.

A lui, azionista e presidente, spetta la parola finale su ogni questione. Non è un’anomalia, è un fatto di sistema: la stessa Democracia Corinthiana è stata possibile perché anche il presidente del club, Waldemar Pires, l’ha condivisa e sostenuta. Se lo stesso gruppo che si è smarrito nei propri dubbi, ora che si discute di rinnovi e rifondazioni, sarà al centro anche dei progetti futuri del Napoli, sarà per scelta di Aurelio. Il calcio rimane uno sport di squadra. E lo spessore umano della squadra fa la differenza.

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